TRIBUNALE I GRADO UNIONE EUROPEA, sez. III, 24 settembre 2025, n. 555

Marchio dell’Unione europea – Procedimento di dichiarazione di nullità – Marchio dell’Unione europea figurativo NAMALEI – Motivo di nullità assoluta – Assenza di malafede – Articolo 59, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) 2017/1001

Nella causa T-555/24,

Bioalchemilla Srl, con sede in Massafra (Italia),

Alkemilla Eco Bio Cosmetic Srl, con sede in Massafra,

rappresentate da C. Pulpito, avvocata,

ricorrenti,

contro

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da R. Raponi, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressato nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO e interveniente dinanzi al Tribunale:

Pa. Mo., residente in Massafra (Italia), rappresentato da E. Pepe e S. Troilo, avvocate,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione),

composto, al momento della deliberazione, da P. Škvarilová-Pelzl, presidente, I. Nõmm e R. Meyer (relatore), giudici,

cancelliere: V. Di Bucci

vista la fase scritta del procedimento,

visto che le parti non hanno presentato, nel termine di tre settimane a decorrere dalla notifica della chiusura della fase scritta del procedimento, domanda di fissazione di un’udienza, e avendo deciso, in applicazione dell’articolo 106, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, di statuire senza fase orale,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Con il loro ricorso fondato sull’articolo 263 TFUE, la Bioalchemilla Srl e la Alkemilla Eco Bio Cosmetic Srl, ricorrenti, chiedono l’annullamento e la riforma della decisione della quinta commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) del 2 settembre 2024 (procedimento R 535/2023-5) (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

Fatti

2 L’8 giugno 2021 le ricorrenti hanno presentato all’EUIPO una domanda di dichiarazione di nullità del marchio dell’Unione europea registrato a seguito di una domanda depositata il 31 marzo 2020 dall’interveniente, sig. Pa. Mo., per il seguente segno figurativo:

3 I prodotti contrassegnati dal marchio contestato per i quali era chiesta la dichiarazione di nullità rientravano nelle classi 3 e 5 ai sensi dell’Accordo di Nizza sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come riveduto e modificato, e corrispondevano, per ciascuna di tali classi, alla seguente descrizione:

– Classe 3: «Dentifrici; creme per il corpo; Rossetti; matite per uso cosmetico; preparati cosmetici per il bagno; Creme per le rughe; Deodoranti; Olii per il bagno; diffusori a bastoncino; Preparati per igiene intima o sanitaria, deodoranti intimi; Ombretti; mascara; Lucidalabbra; maschere di bellezza; creme cosmetiche per le mani; Profumi per ambiente; Coloranti per capelli; Eau de toilette; Estratti di profumi; Gel per la rasatura; Lozioni struccanti; Oli per profumi e fragranze; Creme per la riduzione della cellulite; Creme esfolianti; cosmetici per gli occhi; acqua profumata per la biancheria; Profumi; creme, lozioni e gel idratanti; cosmetici per le labbra; gel per massaggi non ad uso medico; Creme solari; Smalto per unghie; Fragranze per ambienti; Prodotti cosmetici per la cura della pelle; creme protettive; creme per la riduzione delle macchie senili; Preparati e trattamenti per i capelli; fard cosmetici; Oli abbronzanti; Shampoo; creme per la pelle; Saponi non medicati; cosmetici per uso dermatologico; Prodotti per la rasatura; Make-up (trucco); Balsamo per capelli; Aromi per profumi; Docciaschiuma e bagnoschiuma; Aromi per fragranze; creme anti-età; Fragranze; Salviette impregnate struccanti; Lozioni doposole; Balsamo per rasatura; Profumeria, olii essenziali»;

– Classe 5: «Integratori alimentari con effetto cosmetico; Integratori alimentari e preparati dietetici».

4 I motivi invocati a sostegno della domanda di dichiarazione di nullità erano, da un lato, il motivo di nullità assoluta di cui all’articolo 59, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1) e, dall’altro, il motivo di nullità relativa di cui all’articolo 60, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001, in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 3, di detto regolamento.

5 Il motivo di nullità relativa invocato dalle ricorrenti era fondato sul marchio italiano figurativo, di seguito riprodotto, depositato il 26 giugno 2020 e registrato il 26 novembre 2020, con il numero 202000051538, per i prodotti rientranti nella classe 3 e che corrispondono alla seguente descrizione: «Cosmetici; oli essenziali; profumi; prodotti di profumeria; preparati per schermi solari; Detergenti per il viso; Lozioni cosmetiche solari abbronzanti; Creme solari; Creme per le mani; Lozioni per il corpo; Deodoranti per il corpo [profumeria]; Creme per il corpo; Prodotti cosmetici di make-up; Prodotti doposole per uso cosmetico; Maschere per il viso; Maschere per la pelle [cosmetici]; Scrub cosmetici per il corpo; Shampoo; Tinture per capelli; Maschere per capelli; Prodotti per il trattamento dei capelli».

6 Il 14 gennaio 2023 la divisione di annullamento ha respinto la domanda di dichiarazione di nullità.

7 Il 12 marzo 2023 le ricorrenti hanno proposto ricorso dinanzi all’EUIPO avverso la decisione della divisione di annullamento.

8 Con la decisione impugnata, la commissione di ricorso ha respinto il ricorso delle ricorrenti. Da un lato, essa ha rilevato che le ricorrenti non avevano presentato alcun argomento contro il rigetto, da parte della divisione di annullamento, del motivo di nullità relativa vertente sull’articolo 60, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001, in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 3, di detto regolamento. Dall’altro lato, per quanto riguarda il motivo di nullità assoluta di cui all’articolo 59, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001, essa ha ritenuto che nessuno degli argomenti e degli elementi di prova prodotti, sia considerati singolarmente, sia congiuntamente, fosse idoneo a dimostrare la malafede dell’interveniente al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato.

Conclusioni delle parti

9 Le ricorrenti chiedono, in sostanza, che il Tribunale voglia annullare la decisione impugnata e/o dichiarare la nullità del marchio contestato per nullità assoluta, ai sensi dell’articolo 59, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001, o per motivo di nullità relativa, ai sensi dell’articolo 6 septies della Convenzione di Parigi per la tutela della proprietà industriale, del 20 marzo 1883, come riveduta e modificata (in prosieguo: la «Convenzione di Parigi»), dell’articolo 5, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2015, L 336, pag. 1) e dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento 2017/1001.

10 L’EUIPO chiede che il Tribunale voglia:

– respingere il ricorso;

– condannare le ricorrenti alle spese in caso di convocazione di un’udienza orale.

11 L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

– rigettare il ricorso;

– condannare le ricorrenti alle spese del procedimento, comprese quelle sostenute dinanzi alla divisione di annullamento e alla commissione di ricorso.

In diritto

12 In applicazione di una giurisprudenza costante, il Tribunale deve interpretare i motivi dedotti da un ricorrente in base ai loro termini sostanziali, più che secondo la loro classificazione [sentenze del 10 febbraio 2009, Deutsche Post e DHL International/Commissione, T-388/03, EU:T:2009:30, punto 54, e del 6 giugno 2019, Torrefazione Caffè Michele Battista/EUIPO – Battista Nino Caffè (BATTISTINO), T-221/18, non pubblicata, EU:T:2019:382, punto 23].

13 Nel caso di specie, se è vero che, a sostegno del loro ricorso, le ricorrenti deducono formalmente due motivi vertenti, il primo, su una errata valutazione delle norme in tema di rappresentanza societaria e, il secondo, su una errata valutazione delle dichiarazioni dell’interveniente nel procedimento parallelo presso i tribunali italiani, tali motivi sono assimilabili, in realtà, a censure relative alla fondatezza delle valutazioni della commissione di ricorso relative all’applicazione dell’articolo 59, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001. Esse rientrano, pertanto, in uno stesso motivo di ricorso vertente sulla violazione di tale disposizione da parte della commissione di ricorso.

14 Inoltre, nella presentazione dei capi delle loro conclusioni, le ricorrenti fanno riferimento a una violazione dell’articolo 6 septies della Convenzione di Parigi; dell’articolo 5, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2015/2436 e dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento 2017/1001. È giocoforza constatare che una siffatta menzione potrebbe essere assimilata all’enunciazione di un motivo vertente sulla violazione di tali disposizioni, la cui ricevibilità è, peraltro, contestata dall’EUIPO e dall’interveniente.

Sulla ricevibilità del motivo di ricorso vertente sulla violazione dell’articolo 6 septies della Convenzione di Parigi, dell’articolo 5, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2015/2436 e dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento 2017/1001

15 L’EUIPO eccepisce l’irricevibilità di tale motivo sulla base dell’articolo 177, paragrafo 1, lettera d), del regolamento di procedura del Tribunale, per il motivo che l’atto introduttivo del ricorso non contiene alcun argomento circostanziato, chiaro e coerente volto a dimostrare che la commissione di ricorso abbia violato le disposizioni dell’articolo 6 septies della Convenzione di Parigi, dell’articolo 5, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2015/2436 e dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento 2017/1001.

16 L’interveniente eccepisce l’irricevibilità di tale motivo di ricorso affermando, in sostanza, che la violazione di dette disposizioni non era stata sollevata dalle ricorrenti dinanzi alla commissione di ricorso. Inoltre, le ricorrenti non presenterebbero alcun argomento a suo sostegno.

17 A tal riguardo, si deve ricordare che, ai sensi dell’articolo 21, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, applicabile al procedimento dinanzi al Tribunale conformemente all’articolo 53, primo comma, di detto Statuto, e ai sensi dell’articolo 177, paragrafo 1, lettera d), del regolamento di procedura, ogni atto introduttivo del giudizio deve indicare, in particolare, l’esposizione sommaria dei motivi invocati. Tale indicazione deve essere sufficientemente chiara e precisa da consentire alla parte convenuta di predisporre la propria difesa e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso. Lo stesso vale per le conclusioni, che devono essere integrate con i motivi e gli argomenti che consentano, sia alla parte convenuta sia al giudice, di valutarne la fondatezza. Pertanto, gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali un ricorso si basa devono emergere, almeno sommariamente, ma in modo coerente e comprensibile, dal testo dell’atto di ricorso stesso. Requisiti analoghi sono richiesti allorché una censura o un argomento è dedotto a sostegno di un motivo di ricorso [v. sentenza del 24 aprile 2018, Menta y Limón Decoración/EUIPO – Ayuntamiento de Santa Cruz de La Palma (Raffigurazione di un uomo in abito regionale), T-183/17, non pubblicata, EU:T:2018:213, punto 46 e giurisprudenza citata).

18 Nel caso di specie, sebbene le ricorrenti facciano riferimento nelle loro conclusioni alla violazione dell’articolo 6 septies della Convenzione di Parigi; dell’articolo 5, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2015/2436 e dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento 2017/1001, esse non presentano, tuttavia, alcun argomento che corrobori tale violazione.

19 Pertanto, in assenza di presentazione degli elementi essenziali di fatto e di diritto a sostegno del motivo di ricorso vertente sulla violazione di dette disposizioni, quest’ultimo non soddisfa i requisiti di cui all’articolo 177, paragrafo 1, lettera d), del regolamento di procedura e deve quindi essere respinto in quanto irricevibile.

Sul motivo di ricorso vertente sulla violazione dell’articolo 59, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001

20 Le ricorrenti addebitano, in sostanza, alla commissione di ricorso di aver erroneamente concluso per l’assenza di malafede dell’interveniente al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato. Più precisamente, esse sostengono che, in forza della normativa italiana e del diritto dell’Unione europea, i diritti sul marchio contestato devono essere ricollegati al loro patrimonio economico e giuridico, dato che, da un lato, le attività ad esso relative sono state compiute mentre l’interveniente ricopriva la qualifica di amministratore di una di esse e, dall’altro, tali attività rientravano nel loro oggetto sociale, nonché nelle prerogative demandate all’amministratore in via esclusiva, secondo il diritto italiano. Esse sostengono altresì che l’Ufficio avrebbe dovuto esaminare i fatti del caso di specie alla luce dell’ammissione fatta dall’interveniente nel corso del procedimento giudiziario in Italia, durante il quale quest’ultimo avrebbe ammesso chiaramente la propria malafede.

21 L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti delle ricorrenti.

22 In via preliminare, occorre ricordare che il sistema del marchio dell’Unione europea si fonda sul principio, sancito all’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001, secondo il quale al primo depositante è conferito un diritto esclusivo. In forza di tale principio, un marchio può essere registrato come marchio dell’Unione europea soltanto nei limiti in cui non vi osti un marchio anteriore, che si tratti, in particolare, di un marchio dell’Unione europea, di un marchio registrato in uno Stato membro o dall’ufficio del Benelux per la proprietà intellettuale, di un marchio oggetto di registrazione internazionale avente efficacia in uno Stato membro o, ancora, di un marchio oggetto di registrazione internazionale avente efficacia nell’Unione. Per contro, fatta salva l’eventuale applicazione dell’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento 2017/1001, il solo fatto che un terzo utilizzi un marchio non registrato non osta a che un marchio identico o simile sia registrato come marchio dell’Unione europea per prodotti o servizi identici o simili [v. sentenza del 28 gennaio 2016, Gugler France/UAMI – Gugler (GUGLER), T-674/13, non pubblicata, EU:T:2016:44, punto 70 e giurisprudenza citata)].

23 L’applicazione di tale principio è temperata, in particolare, dall’articolo 59, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001, ai sensi del quale un marchio dell’Unione europea deve essere dichiarato nullo, su domanda presentata all’EUIPO o su domanda riconvenzionale nell’ambito di un’azione per contraffazione, qualora al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio il richiedente abbia agito in malafede. Spetta a colui che richiede la dichiarazione di nullità, che intenda basarsi su questo motivo, dimostrare le circostanze che consentono di dichiarare che il titolare di un marchio dell’Unione europea era in malafede al momento del deposito della domanda di registrazione di quest’ultimo (v. sentenza del 28 gennaio 2016, GUGLER, T-674/13, non pubblicata, EU:T:2016:44, punto 71 e giurisprudenza citata).

24 Quando una nozione presente nel regolamento 2017/1001 non è definita dallo stesso, la determinazione del suo significato e della sua portata deve essere effettuata conformemente al suo significato abituale nel linguaggio corrente, tenendo conto del contesto nel quale detta nozione è utilizzata e degli obiettivi perseguiti da tale regolamento. Ciò vale anche per la nozione di «malafede» di cui all’articolo 59, paragrafo 1, lettera b), del suddetto regolamento, in mancanza di ogni definizione di tale nozione da parte del legislatore dell’Unione (v. sentenza del 12 settembre 2019, Koton Magazacilik Tekstil Sanayi ve Ticaret/EUIPO, C-104/18 P, EU:C:2019:724, punti 43 e 44 e giurisprudenza citata).

25 Mentre, conformemente al suo significato abituale nel linguaggio corrente, la nozione di «malafede» presuppone la presenza di una disposizione d’animo o di un’intenzione disonesta, tale nozione deve essere interpretata inoltre nel contesto del diritto dei marchi, che è quello del commercio. A tale riguardo, i regolamenti (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1) e 2017/1001, adottati uno in seguito all’altro, perseguono un medesimo obiettivo, vale a dire l’istituzione e il funzionamento del mercato interno. Le norme sul marchio dell’Unione europea sono dirette, in particolare, a contribuire al sistema di concorrenza non falsata nell’Unione, nel quale ogni impresa dev’essere in grado, per attirare la clientela con la qualità dei suoi prodotti o servizi, di far registrare come marchi d’impresa segni che consentano al consumatore di distinguere senza possibile confusione tali prodotti o servizi da quelli di provenienza diversa (v. sentenza del 12 settembre 2019, Koton Magazacilik Tekstil Sanayi ve Ticaret/EUIPO, C-104/18 P, EU:C:2019:724, punto 45 e giurisprudenza citata).

26 Pertanto, il motivo di nullità assoluta di cui all’articolo 59, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001 si applica laddove emerga da indizi pertinenti e concordanti che il titolare di un marchio dell’Unione europea ha presentato la domanda di registrazione di tale marchio, non già con l’obiettivo di partecipare in maniera leale al gioco della concorrenza, ma con l’intenzione di pregiudicare, in modo non conforme alle consuetudini di lealtà, gli interessi di terzi, o con l’intenzione di ottenere, senza neppur mirare ad un terzo in particolare, un diritto esclusivo per scopi diversi da quelli rientranti nelle funzioni di un marchio, in particolare la funzione essenziale di indicare l’origine (sentenza del 12 settembre 2019, Koton Magazacilik Tekstil Sanayi ve Ticaret/EUIPO, C-104/18 P, EU:C:2019:724, punto 46).

27 L’intenzione del richiedente un marchio è un elemento soggettivo che tuttavia deve essere determinato in modo oggettivo dalle autorità amministrative e giudiziarie competenti. Conseguentemente, ogni allegazione di malafede deve esser valutata globalmente, tenendo conto dell’insieme delle circostanze di fatto pertinenti del caso di specie. Solo in tal modo l’allegazione di malafede può essere valutata oggettivamente (v. sentenza del 12 settembre 2019, Koton Magazacilik Tekstil Sanayi ve Ticaret/EUIPO, C-104/18 P, EU:C:2019:724, punto 47 e giurisprudenza citata).

28 Tra i fattori presi in considerazione dalla giurisprudenza nell’ambito dell’analisi globale effettuata ai sensi dell’articolo 59, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001 figurano, in particolare, il fatto che il richiedente sappia o debba sapere che un terzo utilizza, in almeno uno Stato membro, un segno identico o simile per un prodotto o un servizio identico o simile e confondibile con il segno di cui viene chiesta la registrazione, l’intenzione del richiedente di impedire a detto terzo di continuare a utilizzare un siffatto segno, il grado di tutela giuridica di cui godono i segni di cui trattasi, l’intenzione del richiedente di impedire a tale terzo di commercializzare un prodotto, l’origine del segno contestato e il suo uso a partire dalla sua creazione, la logica commerciale nella quale si inserisce il deposito della domanda di registrazione del segno come marchio dell’Unione europea e la cronologia degli avvenimenti che hanno caratterizzato la sopravvenienza del suddetto deposito [v. sentenza del 21 febbraio 2024, Dendiki/EUIPO – D-Market (hepsiburada), T-172/23, non pubblicata, EU:T:2024:105, punto 26 e giurisprudenza citata).

29 È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare se la commissione di ricorso abbia erroneamente concluso nel senso dell’assenza di malafede dell’interveniente al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato.

30 A sostegno della loro domanda di dichiarazione di nullità, le ricorrenti, cui incombe l’onere della prova, conformemente alla giurisprudenza ricordata al precedente punto 23, hanno prodotto i seguenti elementi di prova:

– una copia della dichiarazione dei redditi dell’interveniente relativa all’anno 2019;

– una copia dell’estratto del registro delle imprese riguardante una delle ricorrenti, la Bioalchemilla, in cui l’interveniente è menzionato come amministratore unico di quest’ultima;

– una copia degli atti notarili, registrati il 17 giugno 2020, con i quali l’interveniente ha ceduto le quote di società che possedeva nelle ricorrenti;

– una copia del contratto preliminare di dette cessioni di quote di società, in data 12 maggio 2020;

– una copia dell’estratto di registrazione del marchio italiano figurativo Kamalei;

– una copia di un messaggio di posta elettronica, del 30 giugno 2020, inviato dall’indirizzo di posta elettronica «(Omissis)», che mostra diversi prodotti cosmetici e il marchio contestato;

– una copia di una schermata di una pagina del sito Internet dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI) riguardante il marchio Kamalei;

– una copia di una schermata di una pagina di un sito Internet relativa alla registrazione dei nomi di dominio «kamalei.it», «kamaleicosmetics.com» e «kamaleicosmetics.it»;

– una copia di una schermata di una pagina di un sito Internet relativa all’attivazione dell’indirizzo di posta elettronica «(Omissis)»;

– una copia di documenti relativi al procedimento avviato dinanzi al giudice italiano.

31 Dopo aver analizzato tali documenti, la commissione di ricorso ha considerato, al pari della divisione di annullamento, che, sebbene esistessero rapporti formali tra le ricorrenti e l’interveniente prima e alla data del deposito della domanda di registrazione, poiché l’interveniente era un socio delle ricorrenti nonché l’amministratore unico di una di esse, gli argomenti e gli elementi di prova presentati da queste ultime erano insufficienti a dimostrare la malafede dell’interveniente alla data del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato, ossia il 31 marzo 2020.

32 Le ricorrenti fondano, nel caso di specie, la loro azione di nullità sul fatto che l’interveniente aveva avviato il progetto connesso allo sviluppo del segno Kamalei e depositato la domanda di registrazione del marchio contestato mentre era ancora uno dei loro soci e l’amministratore unico di una di esse.

33 A tal riguardo, è vero che esistevano rapporti formali tra le ricorrenti e l’interveniente prima e alla data del deposito della domanda di registrazione, il 31 marzo 2020. Risulta, infatti, dal fascicolo relativo al procedimento amministrativo dinanzi all’EUIPO che, alla data della domanda di registrazione, l’interveniente deteneva quote di società nelle ricorrenti ed era anche l’amministratore unico di una di esse. L’interveniente ha cessato di esercitare le sue funzioni di amministratore unico della Bioalchemilla il 15 aprile 2020 e ha ceduto le sue quote societarie nelle ricorrenti il 17 giugno 2020.

34 È altresì vero che l’interveniente aveva avviato il progetto connesso al segno Kamalei nel settembre 2019, mentre era ancora uno dei soci delle ricorrenti e l’amministratore unico di una di esse.

35 Tuttavia, occorre constatare che le ricorrenti non hanno presentato alcuna prova concreta che dimostri che l’interveniente aveva agito in malafede depositando il marchio contestato.

36 Infatti, i soli fatti certi provati dalle ricorrenti riguardavano, in primo luogo, l’esistenza di rapporti formali tra esse e l’interveniente prima e al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato; in secondo luogo, l’esistenza di una cessione delle quote di società di proprietà dell’interveniente nelle ricorrenti dopo il deposito di tale domanda e, in terzo luogo, la circostanza che l’interveniente aveva avviato il progetto connesso allo sviluppo del segno Kamalei mentre era ancora impegnato in rapporti formali con le ricorrenti.

37 Per il resto, i documenti prodotti non consentivano di dimostrare, alla data del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato, l’esistenza di un uso del marchio Kamalei, del marchio NAMALEI o di un qualsiasi progetto connesso a tali marchi imputabili alle ricorrenti, che queste ultime avrebbero condotto da sole o congiuntamente con l’interveniente.

38 Pertanto, in primo luogo, sebbene il contratto preliminare di cessione delle quote societarie dell’interveniente dimostrasse l’esistenza di un obbligo per quest’ultimo di rispettare i diritti di proprietà intellettuale delle ricorrenti, esso non precisava tuttavia i diritti in questione. A tal riguardo, la commissione di ricorso ha giustamente sottolineato che, sebbene tale documento facesse riferimento a un allegato relativo a «marchi, segni distintivi e/o indirizzi internet, nomi a dominio, siti internet e/o diritti di proprietà intellettuale» di proprietà delle ricorrenti, tale allegato non figurava tra i documenti prodotti dalle ricorrenti.

39 In secondo luogo, come giustamente rilevato dalla commissione di ricorso, gli unici indizi di utilizzo del segno Kamalei prima del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato, quali l’attivazione dell’account di posta elettronica «(Omissis)» nonché la registrazione dei nomi di dominio «kamalei.it», «kamaleicosmetics.it» e «kamaleicosmetics.com», erano tutti ed esclusivamente collegati all’interveniente. Le ricorrenti non hanno infatti dimostrato che tali atti fossero stati effettuati dall’interveniente in loro nome e per loro conto o che rientrassero nel loro oggetto sociale.

40 A tal riguardo, riprendendo correttamente le osservazioni della divisione di annullamento su quest’ultimo punto, la commissione di ricorso ha ricordato che gli estratti della normativa italiana richiamati dalle ricorrenti nelle loro memorie a tal fine non possono essere interpretati in modo da ricondurre automaticamente alle società tutti gli atti compiuti dal loro amministratore. Non si evince, infatti, dagli estratti degli articoli 2204,2266 e 2298 del codice civile italiano forniti dalle ricorrenti dinanzi all’Ufficio che qualsiasi atto posto in essere da una persona che esercita le funzioni di amministratore in una società comporti automaticamente diritti o obblighi per la società che essa amministra. Orbene, in mancanza di altri elementi presentati dalle ricorrenti per dimostrare che il diritto italiano deve essere interpretato nel senso da esse evocato (v., per analogia, sentenza del 5 luglio 2011, Edwin/UAMI, C-263/09 P, EU:C:2011:452, punto 50), le ricorrenti non possono validamente censurare la commissione di ricorso per non averle considerate titolari dei diritti connessi al marchio contestato e al segno Kamalei, sulla base di tale diritto.

41 Inoltre, tale constatazione non può essere rimessa in discussione dall’argomento delle ricorrenti fondato sull’articolo 9 della direttiva (UE) 2017/1132 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, relativa ad alcuni aspetti di diritto societario (GU 2017, L 169, pag. 46). Infatti, nella parte in cui tale argomento delle ricorrenti deve essere inteso nel senso che corrobora la loro interpretazione delle disposizioni del diritto italiano da esse invocate, è sufficiente rilevare che esse non hanno provato in che modo l’interpretazione del diritto italiano di cui trattasi fornita dalla commissione di ricorso fosse in contrasto con tale articolo della direttiva 2017/1132, il cui contenuto è del resto ripreso, in sostanza, in tali disposizioni.

42 Del pari, le ricorrenti non possono validamente addebitare alla commissione di ricorso di non aver esaminato l’insieme dei documenti alla luce delle dichiarazioni rese dall’interveniente nell’ambito del procedimento parallelo presso i tribunali italiani.

43 A tal riguardo, è sufficiente rilevare che tale censura della ricorrente deriva da una lettura erronea della decisione impugnata, poiché, come risulta dal punto 71 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha preso in considerazione anche, nell’ambito del suo esame, i documenti relativi al procedimento parallelo presso i tribunali italiani. Essa ha tuttavia considerato che tali documenti non consentivano di desumere con certezza l’esistenza di un uso o qualsivoglia progetto relativo ai segni Kamalei o NAMALEI che potesse essere riconducibile alle ricorrenti, con anteriorità al deposito della domanda di registrazione del marchio contestato.

44 Peraltro, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, dalle dichiarazioni dell’interveniente nell’ambito di detto procedimento non risulta un riconoscimento da parte di quest’ultimo della sua malafede al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato. Infatti, come sottolineano giustamente l’EUIPO e l’interveniente nelle loro memorie, tali dichiarazioni si limitano a confermare elementi fattuali peraltro già dimostrati, come l’attivazione dell’account di posta elettronica «(Omissis)» e la registrazione dei nomi di dominio «kamalei.it», «kamaleicosmetics.it» e «kamaleicosmetics.com» da parte dell’interveniente nel settembre 2019.

45 Da quanto precede risulta che l’analisi effettuata dalla commissione di ricorso, che conclude per l’assenza di malafede dell’interveniente al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato sulla base degli elementi di prova prodotti dalle ricorrenti, deve essere confermata. Nessuno degli argomenti dedotti dalle ricorrenti è in grado di rimettere in discussione tale conclusione.

46 Ne consegue che la commissione di ricorso non è incorsa in errori di valutazione ritenendo che gli elementi del fascicolo non contenessero alcuna informazione che dimostrasse la malafede dell’interveniente.

47 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre respingere il motivo vertente sulla violazione dell’articolo 59, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001 e, di conseguenza, il ricorso nella sua interezza.

Sulle spese

48 Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

49 Le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere condannate alle spese sostenute dall’interveniente nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale, conformemente alla domanda di quest’ultimo. Per contro, poiché l’EUIPO ha chiesto la condanna della ricorrente alle spese solo in caso di convocazione di un’udienza, occorre, non essendo stata organizzata un’udienza, disporre che l’EUIPO si farà carico delle proprie spese.

50 L’interveniente ha inoltre chiesto che le ricorrenti siano condannate alle spese da esso sostenute dinanzi alla divisione di annullamento e alla commissione di ricorso.

51 In proposito si deve ricordare, da un lato, che, ai sensi dell’articolo 190, paragrafo 2, del regolamento di procedura, solo le spese indispensabili sostenute dalle parti ai fini del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso sono considerate spese ripetibili. Ne consegue che le spese sostenute per il procedimento dinanzi alla divisione di annullamento non possono essere considerate spese ripetibili [v., in tal senso, sentenze 12 gennaio 2006, Devinlec/UAMI – Time ART. (QUANTUM), T-147/03, EU:T:2006:10, punto 115, e del 16 gennaio 2008, Inter-Ikea/UAMI – Waibel (idea), T-112/06, non pubblicata, EU:T:2008:10, punto 88]. Pertanto, la domanda dell’interveniente diretta ad ottenere la condanna delle ricorrenti alle spese sostenute dinanzi alla divisione di annullamento deve essere respinta.

52 Dall’altro lato, nella parte in cui la domanda dell’interveniente riguarda le spese del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso, è sufficiente rilevare che, poiché la presente sentenza respinge il ricorso diretto contro la decisione impugnata, è il dispositivo di quest’ultima che continua a disciplinare le spese di cui trattasi [v., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2017, Intesa Sanpaolo/EUIPO – Intesia Group Holding (INTESA), T-143/16, non pubblicata, EU:T:2017:687, punto 74].

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1) Il ricorso è respinto.

2) La Bioalchemilla Srl e l’Alkemilla Eco Bio Cosmetic Srl sono condannate a farsi carico delle proprie spese nonché di quelle sostenute dal sig. Pa. Mo. ai fini del procedimento dinanzi al Tribunale.

3) L’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) si farà carico delle proprie spese.

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 24 settembre 2025.