CASSAZIONE PENALE, sez. III, sent. del 12 maggio 2025, n. 17788

CASSAZIONE PENALE, sez. III, sent. del 12 maggio 2025, n. 17788

In tema di conservazione di alimenti destinati alla somministrazione, ai fini della configurabilità del reato di detenzione di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione (artt. 110 cod. pen., 5 lett. b e 6 legge 283/1962), è irrilevante la presunta destinazione allo smaltimento degli alimenti qualora gli stessi siano stati rinvenuti in condizioni incompatibili con tale destinazione, apparendo piuttosto destinati alla somministrazione.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta da:

Dott. RAMACCI Luca – Presidente

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. GIORGIANNI Giovanni – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

A.A. nato a M. il (Omissis)

B.B. nato a M. il (Omissis)

avverso la sentenza del 19/06/2024 del TRIBUNALE di BARCELLONA POZZO DI GOTTO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Presidente LUCA RAMACCI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPE SASSONE

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con sentenza del 19 giugno 2024, emessa all’esito di giudizio immediato disposto a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, ha condannato A.A. e B.B. alla pena dell’ammenda per il reato di cui agliart. 110, cod. pen., 5 lett. b) e 6legge 283/62perché detenevano, presso una casa di riposo per anziani, un quantitativo di carne, pari a circa 15 kg e destinata alla somministrazione, in cattivo stato di conservazione, come accertato in B. l’11 agosto 2021.

2. Avverso tale pronuncia gli imputati propongono congiuntamente ricorso per Cassazione tramite il comune difensore di fiducia.

3. Lamentano, con un primo motivo di ricorso, la violazione di legge, evidenziando che gli alimenti sequestrati dalla polizia giudiziaria, come emerso dall’istruzione dibattimentale, sarebbero stati destinati non al consumo da parte degli ospiti della residenza per anziani, bensì allo smaltimento e proprio a tal fine sarebbero stati accantonati nel congelatore dove erano stati rinvenuti in considerazione della temperatura esterna nel mese di agosto.

Mancherebbe dunque, osservano, il necessario requisito del fine di somministrazione richiesto dalla norma ritenuta violata nell’imputazione.

4. Con il secondo motivo di ricorso la violazione di legge ed il vizio di motivazione vengono denunciati rilevando come il giudice del merito avrebbe offerto una motivazione insufficiente ed illogica, che non avrebbe tenuto conto delle risultanze dibattimentali e sarebbe esclusivamente fondata su mere congetture.

Le argomentazioni sviluppate dal giudice, aggiungono, non avrebbero tenuto conto di quanto riferito dai testimoni escussi.

Evidenziano, altresì, i ricorrenti che la sentenza impugnata sarebbe errata laddove ha ritenuto di escludere l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’articolo 131-biscod. pen.

Il giudice, precisano, pur avendo riconosciuto le attenuanti generiche in considerazione del corretto smaltimento della carne documentato dal difensore, non avrebbe tenuto conto di tale condotta susseguente al reato che andava,

invece, valorizzata essendo stata inserita, con la riforma del 2022, tra i criteri di valutazione della particolare tenuità della condotta.

Insistono, pertanto, per l’accoglimento dei ricorsi.

5. Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria, ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.

Motivi della decisione

1. I ricorsi sono infondati.

I motivi di impugnazione che attengono principalmente alla affermazione di responsabilità possono essere congiuntamente esaminati.

2. Le considerazioni svolte dai ricorrenti consistono, sostanzialmente, nella prospettazione di una lettura alternativa delle emergenze processuali rispetto a quella effettuata dal giudice del merito.

Ciò, come è noto, non è consentito nel giudizio di legittimità.

Pare opportuno ricordare, a tale proposito, quale sia l’ambito di operatività delimitato dalla giurisprudenza di questa Corte riguardo al vizio di motivazione.

II controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti.

Il vizio di motivazione ricorre nel caso in cui la stessa risulti inadeguata perché non consente di riscontrare agevolmente le scansioni e gli sviluppi critici che connotano la decisione riguardo a ciò che è stato oggetto di prova, ovvero impedisce, per la sua intrinseca oscurità od incongruenza, il controllo sull’affidabilità dell’esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti.

In altre parole, al giudice di legittimità vengono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore

capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. ex pi., Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482 – 01; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 – 01).

3. Occorre, inoltre, considerare che le argomentazioni sviluppate dal Tribunale consistono in accertamenti di natura fattuale che nella sentenza vengono illustrati con argomentazioni prive di cedimenti logici o carenze strutturali.

In particolare, il giudice del merito ha dato conto delle risultanze investigative e della circostanza che la polizia giudiziaria, in occasione del controllo effettuato presso la struttura per anziani, aveva dettagliatamente evidenziato le condizioni in cui la carne rinvenuta si presentava: a contatto diretto con il ghiaccio dal quale risultava ricoperta, in necrosi perché bruciata dal freddo ed in quantitativi di diverse tipologie ammassati tra loro.

Il giudice, attraverso un adeguato richiamo alla giurisprudenza di questa Corte, ha correttamente ritenuto che gli alimenti potessero essere considerati in cattivo stato di conservazione.

La sentenza impugnata, inoltre, rende conto dettagliatamente delle dichiarazioni dei testimoni escussi, argomentando in maniera puntuale circa la inverosimiglianza di quanto riferito da costoro.

In particolare, il Tribunale ha ritenuto non credibile l’asserita destinazione degli alimenti allo smaltimento e non alla successiva somministrazione, osservando come gli stessi testimoni avessero riferito che la carne veniva sempre acquistata in quantitativi sufficienti per essere poi servita agli ospiti della struttura, sicché risultava del tutto inverosimile l’accumulo di un quantitativo ingente quale quello rinvenuto dalla polizia giudiziaria.

Parimenti incongrua viene ritenuta l’ulteriore affermazione secondo cui i prodotti venivano ammassati per lo smaltimento, nonostante la temperatura esterna rendesse più logico effettuare tale operazione di volta in volta.

Altrettanto significativa è ritenuta, in sentenza, la circostanza che la carne risultava riposta separatamente e ricoperta di pellicola trasparente per alimenti, come mostrato nelle fotografie in atti, rilevando come tale condizione fosse incompatibile con la dichiarata destinazione allo smaltimento.

Pare opportuno, a questo punto, richiamare quanto già evidenziato in una precedente pronuncia di questa Corte (Sez. 3, n. 20937 del 26/04/2021, Ipito, Rv. 281651 – 01) ove, con riferimento alle modalità di accertamento del reato in esame da parte del giudice del merito, si era ricordato che questi può apprezzare il cattivo stato di conservazione degli alimenti senza necessità di prelievo di

campioni e di specifiche analisi di laboratorio, sulla base di dati obiettivi risultanti dalla documentazione relativa alla verifica e dalle dichiarazioni dei verbalizzanti, essendo lo stesso ravvisabile, in particolare, nel caso di evidente inosservanza delle cautele igieniche e delle tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione (Sez. 3, n. 2690 del 06/12/2019, dep. 2020, Barletta, Rv. 278248 – 01).

Si era poi osservato che, secondo le Sezioni Unite (Sez. U, n. 443 del 19/12/2001 (dep. 2002), Butti e altro, Rv. 220717), si tratta, nel caso specifico, di un reato di danno, perché la disposizione è finalizzata non tanto a prevenire mutazioni che, nelle altre parti dell’art. 5legge 283/1962, sono prese in considerazione come evento dannoso, quanto, piuttosto, a perseguire un autonomo fine di benessere, assicurando una protezione immediata all’interesse del consumatore affinché il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura.

Si aggiungeva che le Sezioni Unite, sempre nella medesima pronuncia, avevano anche precisato che, ai fini della configurabilità del reato, non vi è la necessità di un cattivo stato di conservazione riferito alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, essendo sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, che devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza (conf. Sez. 3, n. 33313 del 28/11/2012 (dep.2013), Maretto, Rv. 257130; Sez. 3, n. 15094 del 11/3/2010, Greco, Rv. 246970; Sez. 3, n. 35234 del 28/6/2007, Lepori, Rv, 237518, cit. ed altre prec. conf.).

Si evidenziava, poi, che conformandosi al primo dei principi appena ricordati, altra pronuncia (Sez. 3, n. 35828 del 7/7/2004, Cicolella, Rv. 229392) aveva successivamente chiarito che la natura di reato di danno attribuita dalle Sezioni Unite alla contravvenzione in esame non richiede la produzione di un danno alla salute, poiché l’interesse protetto dalla norma è quello del rispetto del ed. ordine alimentare, volto ad assicurare al consumatore che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte per la sua natura (conf. Sez. 3, n. 40772 del 5/5/2015, Torcetta, Rv. 264990).

Si precisava, inoltre, come sia comunque necessario accertare che le modalità di conservazione siano in concreto idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento delle sostanze (Sez. 3, n. 439 del 4/11/2011 (dep. 2012), Duclos, Rv. 251630; Sez. 3, n. 15049 del 09/01/2007, Bertini, Rv. 236332) escludendo, tuttavia, la necessità di analisi di laboratorio o perizie, ben potendo il giudice di merito considerare altri elementi di prova, come le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva

conservazione sia palese e, pertanto, rilevabile da una semplice ispezione (Sez. 3, n. 35234 del 28/6/2007, Lepori, Rv. 237518, cit. Conf. Sez. 3, n. 12346 del 4/3/2014, Chen, Rv. 258705) ed affermando che il cattivo stato di conservazione dell’alimento può assumere rilievo anche per il solo fatto dell’obiettivo insudiciamento della sola confezione, conseguente alla sua custodia in locali sporchi e, quindi, igienicamente inidonei alla conservazione (Sez. 3, n. 9477 del 21/1/2005, Ciccariello, Rv. 230851) ed è configurabile anche nel caso di detenzione in condizioni igieniche precarie (Sez. 3, n. 41074 del 7/7/2011, Nassar, Rv. 251298).

Si ricordava, infine, come tali principi siano stati successivamente ribaditi (Sez. 3, n. 39037 del 10/5/2018, Malcaus, Rv. 273919; Sez. 3, n. 6108 del 17/01/2014, Maisto, Rv. 258861).

Ciò premesso, resta da aggiungere che la sentenza impugnata appare del tutto conforme alla richiamata giurisprudenza e caratterizzata da una motivazione che non viene minimamente intaccata dalle considerazioni svolte dai ricorrenti.

4. Corretta, risulta, infine, la valutazione effettuata dal giudice del merito per escludere l’applicabilità, nella fattispecie, della causa di non punibilità di cui all’articolo 131-biscod. pen.

Il giudice ha, infatti, espresso un inequivocabile giudizio di gravità della condotta considerando la notevole quantità di cibo in cattivo stato di conservazione, trattandosi di circa 15 kg, nonché il nocumento per la salute degli ospiti della struttura in caso di somministrazione degli alimenti.

Si tratta, anche in questo caso, di argomentazioni del tutto congrue e conformi alla legge per come interpretata da questa Corte.

Invero, come ripetutamente affermato, ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-biscod. pen., il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri stabiliti, ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (v., da ultimo, Sez. 7, n. 10481 del 19/01/2022, Deplano, Rv. 283044 – 01), cosa che è avvenuta nel caso in esame.

Si è inoltre osservato che anche la condotta dell’imputato successiva alla commissione del reato deve essere considerata, sebbene non possa, di per sé sola, rendere di particolare tenuità un’offesa che tale non era al momento del fatto, potendo essere valorizzata solo nell’ambito del giudizio complessivo sull’entità dell’offesa recata, da effettuarsi alla stregua dei parametri di cui

all’art. 133, comma primo, cod. pen. (Sez. 3, n. 18029 del 04/04/2023, Hu, Rv. 284497 – 01).

Nella sentenza impugnata viene dato atto del regolare smaltimento degli alimenti documentato dalla difesa con la produzione dei relativi formulari valorizzando tale circostanza ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ma del tutto correttamente escludendone implicitamente la incidenza riguardo alla particolare tenuità della condotta, essendo tale smaltimento verosimilmente avvenuto in prossimità del processo e rappresentando una inevitabile conseguenza del reato consumato.

5. I ricorsi devono pertanto essere rigettati con le conseguenziali stato edizioni indicate nel dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso in data 30 aprile 2025

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2025