CASSAZIONE CIVILE, Sez. Unite, 27 dicembre 2023, n. 35943

25 Gennaio 2024 Novità Giurisprudenziali

CASSAZIONE CIVILE, Sez. Unite, 27 dicembre 2023, n. 35943

Il principio eurounitario di non deterioramento dello stato dei corpi idrici superficiali (previsto dall’art. 4, par. 1, lett. i, della Direttiva 2000/60/CE e recepito dall’art. 76, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché dall’art. 12-bis del r.d. n. 1775 del 1933) costituisce applicazione del più generale principio di precauzione di cui all’art. 191 TFUE e può essere derogato – ai sensi dell’art. 4, par. 7, della menzionata Direttiva e sempre che ricorrano le condizioni di cui all’art. 10-bis, lett. b, del d.lgs. n. 152 del 2006 – allorquando l’impossibilità di impedire il deterioramento dei suddetti corpi idrici, da uno stato elevato ad uno buono, discenda dall’esecuzione di attività sostenibili di sviluppo umano (nel caso di specie, quella volta allo sfruttamento delle fonti di energia rinnovabile), ferma restando la necessità di operare un bilanciamento in concreto dei valori protetti dalle fonti sovranazionali suscettibili, di volta in volta, di venire in gioco. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza del TSAP di rigetto del ricorso avverso il decreto con il quale la Regione Veneto aveva negato la compatibilità ambientale del progetto volto alla derivazione delle acque di un torrente sito all’interno del Parco Regionale delle Dolomiti ampezzane, al fine della costruzione ed esercizio di un impianto idroelettrico, sul presupposto che l’interesse al non deterioramento di un corso d’acqua particolarmente fragile, quale quello in questione, dovesse ritenersi prevalente, all’esito del bilanciamento, su quello – parimenti tutelato a livello comunitario e internazionale – alla produzione di energia cd. “pulita”).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Primo Presidente f.f. –

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente di Sez. –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24512/2022 rg. proposto da:

Dolomiti Derivazioni Srl , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Visconti 99, presso lo studio dell’avvocato Giovanni Battista Conte, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Regole D’Ampezzo, Ente Gestore del Parco Nazionale delle Dolomiti d’Ampezzo, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Livio Andronico 24, presso lo studio dell’avvocato Ilaria Romagnoli, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Andrea Trebeschi e Carlo Zorat;

– controricorrente –

contro

Provincia di Belluno, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Giovanni Amendola 46, presso lo studio dell’avvocato Mario Ettore Verino, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Emma Pierobon e Sebastiano Tonon;

Regione Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Varrone 9, presso lo studio dell’avvocato Bruna D’Amario Pallottino, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Chiara Drago, Cristina Zampieri e Giacomo Quarneti;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

Comitato Tecnico Regionale V.I.A. della Regione Veneto;

– intimato –

avverso la sentenza n. 114/2022 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 10/06/2022.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/11/2023 dal consigliere GIACOMO MARIA STALLA;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA, il quale conclude per l’inammissibilità del ricorso.

Con ricorso notificato il 6.10.2022, Dolomiti Derivazioni Srl propone cinque articolati motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, comunicatale per estratto di Cancelleria in data 13.7.2022, con la quale il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, in sede di giurisdizione diretta, ha rigettato il ricorso da essa proposto (con motivi aggiunti) avverso il decreto Regione Veneto n. 92 del 29.8.2019 (ed atti presupposti e conseguenti).

Con questo decreto (doc. 1 di parte ricorrente, all.H) la Regione, su conformi pareri della Commissione Tecnica per la Valutazione di Impatto Ambientale nn. 79 ed 89/2019, ha adottato (D.Lgs. n. 152 del 2006L.R. n. 4 del 2016) provvedimento VIA non favorevole per il progetto, proposto dalla società, volto alla costruzione ed esercizio dell'”impianto idroelettrico Rio Bosco” in Comune di Cortina d’Ampezzo; provvedimento preceduto dall’atto di concessione Provincia di Belluno n. (Omissis) (R.D. n. 1775 del 1933) di piccola derivazione ad uso idroelettrico (potenza nominale media di Kw 487,95), e poi confluito nella Det. Provinciale n. 1526 del 2019 di definitivo diniego alla realizzazione, conseguente alla suddetta VIA non favorevole.

Il Decreto n. 92 del 2019 in esame recepiva le negatività di progetto appurate nel corso dell’istruttoria provinciale (pareri UO Forestale Est Belluno, Parco Naturale Dolomiti-Regole d’Ampezzo; Direzione Operativa), insite nel fatto che:

– il Rio Bosco era stato classificato in stato ecologico “Elevato” ai sensi della “Direttiva Quadro Acque” n. 2000/60/CE del 23.10.2000;

– l’opera di presa si collocava lungo un corso torrentizio soggetto a notevoli dissesti per erosione ed instabilità idrogeologica (aggravate dagli eventi alluvionali del 2018);

– l’attuazione del progetto (all’interno del Parco Regionale delle Dolomiti Ampezzane e quindi in area di elevato pregio naturale e paesistico) incideva negativamente sugli obiettivi del Piano di Gestione delle Acque (PdGA) aggiornato al 2015/2021 (come approvato il 3.3.2016 dal Comitato Istituzionale del Distretto Idrografico delle Alpi Orientali) stante un rischio ambientale classificato come “Alto” alla luce della direttiva per la valutazione ambientale delle derivazioni idriche secondo il suddetto Piano di Gestione;

– il tutto trovava ostacolo alla luce dei principi Euro-unitari di precauzione e di non deterioramento.

Nel ricorso avanti al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, la Dolomiti Derivazioni Srl lamentava l’erroneità delle valutazioni contenute nel decreto impugnato e nei pareri presupposti, sostenendo tra l’altro che:

– i paventati dissesti idrogeologici e franosi non interessavano l’area di impianto nè quella delle condotte forzate del Rio Bosco;

– l’invocato principio di non deterioramento non vietava tutti indistintamente gli interventi potenzialmente negativi sulla qualità del corpo idrico, ma soltanto quelli per i quali fosse stato accertato un effetto realmente dannoso per l’ambiente, tanto più a fronte delle rilevanti esigenze di interesse pubblico ecologico sottese alla realizzazione degli impianti energetici da fonti rinnovabili (FER);

– la realizzazione dell’impianto avrebbe mantenuto la medesima classe di qualità chimico-fisica delle acque del Rio Bosco (sostanzialmente indenni da fenomeni antropici o eventuali carichi organici) secondo i pertinenti indici IQM, LIMeco e IARI;

– l’esecuzione delle opere di bacino non avrebbe diminuito, ma anzi aumentato, la disponibilità della risorsa idrica;

– illegittimamente la Regione non aveva tenuto conto di questi elementi valutativi, opportunamente rappresentati dalla società seppure nella esiguità del termine concesso a chiarimenti, giungendo anzi essa a negare la richiesta proroga del termine per controdedurre al citato parere n. 79/19.

Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche veniva altresì investito di due ricorsi ancillari, entrambi del 30/1/2020:

– con il primo ricorso, Dolomiti Derivazioni Srl (sul presupposto della solo sopraggiunta piena conoscenza dei fatti) deduceva un’ulteriore censura avverso gli atti impugnati con il ricorso principale, concernente proprio la negatività desunta dal rischio ambientale “alto”; dal momento che quest’ultimo livello era stato dedotto sull’erroneo presupposto che lo stato qualitativo del Rio Bosco fosse “buono” (come da classificazione di cui alla DGR n. 1856/15), mentre in realtà, da accertamenti tecnici di parte, esso risultava, secondo l’indice Iseci correttamente applicato, “cattivo” (con ciò inficiandosi il giudizio espresso dalla PA);

– con il secondo ricorso, la società impugnava altresì, con motivi aggiunti, la già menzionata determina n. 1526/19 (sopravvenuta all’introduzione del ricorso avanti al TSAP) con cui la Provincia di Belluno, preso atto del giudizio non favorevole di VIA, aveva negato l’autorizzazione unica (AU) alla costruzione ed esercizio dell’impianto idroelettrico in questione.

p. 1.2 Con la sentenza qui impugnata – resa nel contraddittorio con Regione Veneto, Provincia di Belluno, Comitato Tecnico Regionale VIA e Regole d’Ampezzo quale gestore del Parco Regionale Dolomiti d’Ampezzo – il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha rigettato nel merito la pretesa così complessivamente azionata da Dolomiti Derivazioni Srl , osservando che:

– l’eccezione di inammissibilità del gravame introduttivo, proposta dalla Regione, era fondata, atteso l’avvenuto annullamento su ricorso di Regole d’Ampezzo – con sentenza TSAP n. 136 del 28.5.2019, in giudicato – della già menzionata determina provinciale n. 1841/2016 di concessione della derivazione dal Rio Bosco, “nonostante la ricorrente avesse già attivato (18 dicembre 2017) il procedimento di AU e fosse ancora in tempo per impedire la formazione del giudicato su tale aspetto”;

– le argomentazioni attoree erano ad ogni modo da disattendere, posto che il rilascio di nuove concessioni ad uso idroelettrico non era più consentito in caso di bacino di presa inferiore o uguale a 10 km2 (nella specie la superficie era di 8,424 km2), secondo quanto stabilito dalla misura di salvaguardia n. 6) in sede di primo aggiornamento (2015/2021) del PdGA;

– dai pareri conseguiti (soprattutto quello dell’UO Forestale della Regione) emergeva una ribadita fragilità idrogeologica e di colata detritica (debris flow) del Rio Bosco con riduzione della superficie forestale;

– non tardivo (diversamente da quanto eccepito dalle amministrazioni resistenti) era il primo atto per motivi aggiunti proposto dalla società, dal momento che la classificazione qualitativa del Rio Bosco di cui al parere n. 79 del 2019 ed al preavviso L. n. 241 del 1990, ex art. 10 bis era rimasta “sullo sfondo del sub procedimento di VIA” (non risultando conformativa della decisione negativa finale), nè risultava agli atti di causa che, prima del parere n. 79, fosse stato comunicato alla società “un documento o un passaggio motivazionale che possa aver manifestato con chiarezza qual fosse in quel contesto lo stato qualitativo del torrente Bosco”;

– tale ricorso per motivi aggiunti circa la classificazione qualitativa come “Buono”, invece di “Cattivo”, del Rio Bosco (resa nota alla società con la comunicazione del parere n. 79/2019 in una con il preavviso L. n. 241 del 1990, ex art. 10 bis), era tuttavia infondato, posto che il diniego VIA si era basato anche e principalmente su altre argomentate ragioni e che, inoltre, la classificazione qualitativa proposta dalla società sulla base della propria consulenza tecnica Acquaprogram Srl (fondata esclusivamente sul metodo Iseci, per giunta applicato in un arco temporale limitato e ravvicinato) non era in grado di sovvertire la più attendibile classificazione attribuita dall’Amministrazione all’esito della ricostruzione della storia idrogeologica del Rio Bosco e di numerosi monitoraggi, eseguiti per vari anni, sull’intera asta fluviale;

– quanto affermato dalla società ricorrente non era in grado di superare le ravvisate criticità concernenti la fragilità complessiva – idraulica e geologica – del Rio Bosco, nè di rendere effettivamente accertabile la reale compatibilità dell’impianto con il buon regime delle acque, con conseguente applicazione ostativa del principio di precauzione rebus sic stantibus, considerata la astratta possibilità di costruire l’impianto solo in forza della deroga di cui all’art. 8, comma 6, Norme Tecniche Attuative del Piano per l’Assetto Idrogeologico (PAI);

– il principio UE di precauzione aveva trovato qui corretta applicazione, sussistendo la probabilità di un danno reale all’ambiente ed alla qualità del corpo idrico, con conseguente legittimità dell’adozione di misure restrittive (CGUE 19.11.2020 n. 663); ciò pur a fronte, e nel ragionevole contemperamento, del concorrente interesse ecologico espresso dal favor comunitario per gli impianti produttivi di energia da fonti rinnovabili (favor di cui la costruzione di impianti idroelettrici non costituiva se non una delle varie possibilità attuative: CGUE 25.6.2020 n. 24); sicchè l’interesse ecologico riconducibile alla realizzazione di impianti idroelettrici doveva comunque essere perseguito tenendo conto (ed armonizzandosi con esso) dell’obiettivo di protezione ambientale e di mantenimento costante dello stato qualitativo almeno “buono” delle acque superficiali (art. 4 Direttiva Quadro Acque), Rio Bosco compreso;

– la tesi della società ricorrente, secondo cui il principio di precauzione doveva essere applicato in relazione ai soli interventi effettivamente dannosi per l’ambiente, non poteva trovare ingresso, dal momento che simili interventi dovevano ritenersi già vietati e che, inoltre, la deroga alla regola generale di non deterioramento (conseguente alla diretta applicazione del principio di precauzione) e di raggiungimento dello stato qualitativo “buono” poteva essere consentita solo nei casi contemplati all’art. 4 p. 7 Direttiva Acque; nè il pregresso ottenimento della concessione di derivazione (in un contesto nella quale la “Direttiva derivazioni” deliberata dall’Autorità di Bacino, per quanto non immediatamente applicabile, individuava comunque dei parametri discrezionalmente utilizzabili nella qualificazione del rischio ambientale) poteva esonerare la società dall’osservanza di questo principio, indipendentemente dal fatto che di esso fosse stata fatta esplicita salvezza nel disciplinare di concessione;

– sennonchè nella specie non sussistevano i presupposti della deroga ex art. 4 cit. (astrattamente ipotizzabile nella lett. b) del p. 7 cit.) dal momento che faceva difetto una previsione in tal senso del Piano di Gestione delle acque con riguardo ai corpi idrici interessati dalla derivazione idroelettrica del Rio Bosco, in ordine ai quali permaneva intera l’esigenza del mantenimento o del raggiungimento dello stato classificatorio di “buono”;

– il diniego di VIA non poteva ritenersi illegittimo perchè basato sull’applicazione di un solo criterio di classificazione qualitativa, tanto più che questo risultava validato da monitoraggi diffusi nel tempo e lungo tutto il percorso o il bacino d’acqua, anche considerato che l’attività di monitoraggio invece effettuata dalla società si basava esclusivamente su un indice IQM di comparazione tra lo stato di fatto e la simulazione dell’impianto in esercizio, laddove si rendeva necessaria l’applicazione quantomeno dell’indice IARI il quale, se applicato alla simulazione medesima, avrebbe fornito una classificazione “non buona”, con seria alterazione dello stato idrogeologico del torrente in caso di attivazione dell’impianto;

– infondato doveva ritenersi anche il secondo ricorso per motivi aggiunti, dal momento che il diniego provinciale di AU di cui alla Delib. n. 1526 del 2019 (conferenza dei servizi) conseguiva direttamente dal diniego VIA, e che il procedimento VIA doveva ritenersi distinto ed autonomo rispetto a quello per l’autorizzazione unica alla costruzione e gestione di impianti FER D.Lgs. n. 387 del 2003, ex art. 12; in modo tale che, in difetto di compatibilità ambientale del progetto ai fini VIA, diveniva irrilevante qualunque diverso parere in sede di AU, così come qualunque contestazione avverso il diniego di AU ovvero il provvedimento di ritiro della concessione di derivazione ad uso idroelettrico.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso la società deduce: – violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 2909 c.c., all’art. 12 preleggi, nonchè al D.Lgs. n. 387 del 2003art. 12 ed alla Delib. G.R. Veneto n. 1628 del 2015; – nullità del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c.; ciò sulla inammissibilità del gravame per la mancata impugnazione della sentenza TSAP n. 136/2019 che ha annullato la concessione di derivazione.

Erroneamente il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche avrebbe ritenuto inammissibile il gravame introduttivo per effetto del sopravvenuto annullamento, con sentenza passata in giudicato, della determina provinciale n. (Omissis) di concessione della derivazione idraulica dal Rio Bosco, dal momento che l’annullamento era appunto avvenuto per mancata istruttoria sulla compatibilità ambientale dell’impianto (aspetto necessariamente collegato al rilascio della concessione idroelettrica secondo quanto disposto dalla Direttiva n. 2000/60/CE cit.), e che nell’ambito della procedura di AU, ben poteva l’amministrazione procedere, come testualmente osservato nella sentenza TSAP passata in giudicato, al “riesercizio del suo potere, purchè ciò avvenga alla luce e nel rispetto delle mutate condizioni di fatto e di diritto e seguendo i criteri di massima sopra ricordati”. In modo tale che, indipendentemente dal definitivo annullamento della concessione idrica pregressa, una concessione di derivazione per l’impianto in questione poteva essere nuovamente rilasciata nell’ambito del procedimento AU, sicchè (ric. pag. 12): “ai fini dell’annullamento del diniego di compatibilità ambientale dell’impianto risulta irrilevante il venir meno della concessione. Tale concessione sarebbe comunque subordinata all’ottenimento del giudizio positivo di valutazione ambientale, sicchè, una volta annullato il provvedimento negativo ambientale, come si confida avverrà a seguito del presente ricorso, il procedimento unico di concessione ed autorizzazione potrà essere riavviato congiuntamente e l’amministrazione non potrà, in tal caso, eccepire nuovamente problematiche ambientali inesistenti nè opporre l’interpretazione del principio di precauzione assolutamente contraria alla giurisprudenza CGUE”.

p. 2.2 Con il secondo motivo di ricorso la società deduce: – violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006art. 65, comma 7 nonchè all’art. 6 delle misure di salvaguardia del PDGA approvato con D.P.C.M. 27 ottobre 2016; – violazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 387 del 2003art. 12 alla Direttiva 2009/28/CE, alla L. n. 120 del 2002, alla Direttiva 2018/2001/UE, al Regolamento 2018/1999/UE, al Piano Energetico Integrato per Energia e Clima “P.N. I.E.C.” 2021-2030, nonchè alle Dir. 92/96/CE, 2000/60/CE e Dir. 2009/28/CE, nonchè alla L. n. 241 del 1990artt. 2 e 3; – nullità del procedimento ex art. 360, comma 1, n. 4 in relazione agli artt. 112115 e 132 c.p.c. e art. 111 Cost..

Erroneamente il Tribunale avrebbe ravvisato una ragione ostativa alla VIA favorevole (neppure menzionata dalla Regione nel provvedimento impugnato) nella misura di salvaguardia (n. 6) adottata dall’Autorità di Bacino ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006art. 65, comma 7, (“non sono ammesse nuove derivazioni ad uso idroelettrico ovvero varianti significative di esistenti derivazioni, qualora il bacino sotteso dall’opera di presa sia inferiore o uguale a 10 km2”), dal momento che la stessa misura prevedeva contestualmente che: “la competente regione o provincia autonoma potrà eventualmente individuare una diversa soglia di superficie, comunque non inferiore a 6 km2”, con ciò solo ammettendosi la costruzione dell’impianto Rio Bosco in questione, relativo ad un bacino di 8,424 km2. Inoltre, l’interpretazione restrittiva adottata dal Tribunale si poneva in contrasto con la disciplina sovraordinata di derivazione comunitaria (con conseguente necessità di disapplicazione della normativa interna difforme) volta a favorire ed estendere la realizzazione di impianti di energia rinnovabile.

p. 2.3 Con il terzo motivo di ricorso la società lamenta: – violazione, ex art. 360, comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., all’art. 118 disp. att. c.p.c., all’art. 111 Cost., all’art. 115 c.p.c., all’art. 116 c.p.c.; – violazione ex art. 360, comma 1, n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; – violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 per erronea e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990art. 1 e 14 bis; – violazione e falsa applicazione della Direttiva 2000/60/CE e recepita a livello nazionale dal D.Lgs. n. 152 del 2006 e dal D.M. n. 260 del 2010; del D.P.R. n. 357 del 1997art. 5 e del D.P.R. n. 120 del 2003; nonchè dell’art. 103 Cost.; del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost..

Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche avrebbe reso una sentenza nulla perchè recante una motivazione meramente apparente, apodittica, scollegata dalle risultanze di causa e connotata da travisamento dei documenti prodotti a riprova del fatto che, contrariamente a quanto affermato nel diniego VIA e recepito dal Tribunale, dalle relazioni tecniche e dai pareri in atti risultava come il progetto rimanesse localizzato al di fuori di aree franose (sinistra orografica del Rio Bosco), come in effetti non fossero stati rilevati fenomeni franosi, e come la zona in esame fosse caratterizzata da bassa sismicità, tanto che la Commissione Tecnica Regionale Decentrata (CTRD) Lavori Pubblici aveva rilasciato parere idraulico favorevole al progetto.

Risultava inoltre in atti come l’effettiva qualità del corpo idrico del Rio Bosco fosse classificabile a livello “cattivo”, essendo a tal fine dirimente, pur in assenza di altri criteri ed indici, l’esito dell’indicatore ittico Iseci, utilizzato dalla società, il quale aveva attestato la presenza nelle acque della sola trota “fario”, specie ittica alloctona perchè di ceppo atlantico in area alpina.

Sotto altro aspetto si lamenta il fatto che il Tribunale non abbia rilevato che la PA, in presenza di cause ostative alla realizzazione degli interventi, in luogo di opporre senz’altro il rifiuto, ha l’obbligo di valutare eventuali soluzioni alternative (anche in materia di concessioni di derivazione di acqua pubblica) e di impartire prescrizioni volte a superare le criticità rilevate (L. n. 241 del 1990art. 14 bisD.P.R. n. 357 del 1997art. 5 mod. D.P.R. n. 120 del 2003art. 6), come del resto già ritenuto dalla stessa giurisprudenza TSAP (sent. nn. 82/2021; 43/2019). E le ravvisate criticità idrogeologiche asseritamente determinanti un rischio ambientale “alto” ben potevano, in effetti, essere facilmente superate attraverso la modificazione del progetto di impianto, come dimostrato in giudizio.

p. 2.4 Con il quarto motivo di ricorso la società deduce: – violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per errata e falsa applicazione del principio di precauzione e del principio di non deterioramento; per violazione dell’art. 4, par. 1, lett. a) della Direttiva 2000/60/CE; nonchè della L. n. 241 del 1990artt. 12310 bis; del D.Lgs. n. 152 del 2006art. 77; del D.P.R. n. 357 del 1997art. 5 come modificato dal D.P.R. n. 120 del 2003art. 6; del D.Lgs. n. 387 del 2003art. 12; della Dir. 2009/28/CE; della L. n. 120 del 2002; della Dir. 2018/2001/UE; del Regolamento 2018/1999/UE; del Piano Energetico Integrato per Energia e Clima “P.N. I.E.C.” 2021-2030; nonchè delle Dir. 92/96/CE; 2000/60/CE e Dir. 2009/28/CE; – violazione ex art. 360, comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., all’art. 118 disp. att. c.p.c., all’art. 111 Cost., all’art. 115 c.p.c., all’art. 116 c.p.c..

Si sostiene che il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche avrebbe malamente applicato nella specie (per giunta sulla base di erronee classificazioni sia di rischio ambientale sia di qualità dello stato idrico) il principio unionale di precauzione e non deterioramento, posto che la precauzione ambientale può precludere la realizzazione dell’intervento non in presenza di un possibile, ipotetico e meramente temuto rischio idrogeologico, ma solo a fronte di un rischio di compromissione dell’ambiente scientificamente accertato, così come più volte affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e della CGUE in sede di interpretazione dell’art. 4 p. 1 Dir. 2000/60/CE (sent. in causa C461/13); in modo tale che la concessione è preclusa solo quando vi sia certezza che la derivazione produrrà il deterioramento o il mancato raggiungimento degli obiettivi di qualità idrica.

Il che andrebbe anche posto in relazione al favor UE per la produzione di energia da fonti rinnovabili, e quindi per gli impianti idroelettrici che sono considerati di pubblica utilità e portatori di positivo impatto ambientale (Dir. CEE; Protocollo di Kyoto; Reg. UE 2018/1999 citati in epigrafe).

Anche il richiamo operato dal Tribunale all’art. 8, comma 6 NTA PAI (rectius art. 9) sarebbe errato, dal momento che l’impianto idroelettrico in oggetto verrebbe realizzato in zona non qualificata dal PAI a pericolosità elevata, con conseguente non necessità dell’applicazione della deroga richiamata; in ogni caso, l’impianto dovrebbe farsi rientrare tra le attività (di interesse pubblico) almeno “astrattamente sostenibili”, così da consentire la deroga allo stato di qualità idrica.

p. 2.5 Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione ex art. 360, comma 1, n. 3 per errata e falsa applicazione del R.D. n. 1775 del 1933art. 12 bis, comma 1, lett. a); del principio di affidamento; degli artt. 11 e 12 preleggi; nonchè dell’art. 3 Cost.; della Delib. del Distretto delle Alpi Orientali 14 dicembre 2017, n. 1 (Direttiva derivazioni); della L. n. 241 del 1990artt. 1 e 2.

Pur ammettendo esplicitamente l’inapplicabilità alla fattispecie dei criteri determinativi del rischio ambientale di cui alla deliberazione (sopravvenuta ai fatti di causa) del Distretto delle Alpi Orientali 14 dicembre 2017 n. 1 (c.d. “direttiva derivazioni”), il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ne aveva poi di fatto mutuato il contenuto alla stregua di “best practice” ovvero di miglior strumento tecnico-scientifico obiettivamente disponibile nella valutazione del rischio ambientale. Sennonchè ciò comportava una palese violazione del principio tempus regit actum oltre che del principio di affidamento, stante la inapplicabilità ratione temporis della direttiva in questione, e posto che ogni misura di aggravamento delle regole di salvaguardia idrica doveva fondarsi su una disposizione, primaria o secondaria, basata su una direttiva unionale immediatamente applicabile; là dove, nel caso in esame, addirittura sussisteva un’esplicita previsione di regime intertemporale di applicabilità.

La ricorrente (v. ric. pag. 31) denuncia poi il fatto che, con riguardo al secondo ricorso per motivi aggiunti avente ad oggetto il ritiro della concessione di derivazione d’acqua, il Tribunale abbia ritenuto che il rigetto del ricorso avverso il diniego VIA rendesse irrilevanti e comunque assorbisse i motivi di doglianza proposti avverso questo specifico provvedimento; con la conseguenza che, all’esito dell’accoglimento del presente ricorso, dovrà il giudice di rinvio farsi carico anche di questi motivi.

p. 3.1 Mentre il Comitato Tecnico Regionale VIA è rimasto intimato, hanno nel presente giudizio depositato distinti controricorsi la Regione Veneto, la Provincia di Belluno e le Regole d’Ampezzo in qualità di soggetto gestore del Parco Regionale delle Dolomiti d’Ampezzo.

Tutte le controricorrenti hanno preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per cassazione, sia perchè portato da motivi coacervati e cumulativamente relativi a pretesi vizi ex art. 360 c.p.c., comma 1 del tutto eterogenei, sia perchè carente di autosufficienza e mirato sulla riedizione del giudizio di merito, con ampia sollecitazione alla revisione di aspetti puramente fattuali ed attinenti al merito amministrativo della vicenda.

Hanno poi comunque concluso per l’infondatezza di ciascun motivo di ricorso, sulla base di argomentazioni sostanzialmente comuni.

La Regione Veneto e la Provincia di Belluno hanno inoltre proposto un analogo motivo di ricorso incidentale condizionato, insito nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nonchè nella violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1775 del 1933artt. 143 e 192D.Lgs. n. 104 del 2010art. 41.

Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche aveva infatti omesso di considerare (fatto decisivo) che la società ricorrente aveva avuto piena conoscenza della DGR n. 1856 del 2015 circa la classificazione qualitativa di livello ecologico “elevato” e chimico “buono” del Rio Bosco già in sede di concessione provinciale di derivazione con sottoscrizione del relativo disciplinare (nella quale tale Delib. era infatti menzionata), ovvero dal parere istruttorio n. 79 del 28.5.2019, ovvero dalla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza (nota Regione n. 245437 del 12.6.2019) ovvero ancora, e comunque, dalla conoscenza del decreto regionale di VIA negativa 29.8.2019. Ciò comportava la inammissibilità per tardività della impugnazione con motivi aggiunti (primo ricorso accessorio), e tale inammissibilità travolgeva anche la stessa impugnazione introduttiva là dove basata su doglianze concernenti appunto la classificazione del corso d’acqua e la correlativa valutazione in sede di VIA. p. 3.2 La società ricorrente ha depositato memoria prendendo posizione sulle deduzioni contenute nei controricorsi avversari ed instando per l’inammissibilità, ovvero infondatezza, dell’avversario ricorso incidentale condizionato.

Ha poi chiesto, in via subordinata, che questa Corte disapplichi l’art. 6 delle misure di salvaguardia del PdGA e la c.d. Direttiva Derivazioni, assunta dalla competente ADB delle Alpi Orientali con Delib. 14 dicembre 2017, n. 1, ovvero sospenda il presente giudizio per rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sui seguenti quesiti:

– se la normativa Eurounitaria volta a favorire la massima incentivazione e diffusione delle energie rinnovabili, di cui alle Dir. 2001/77/CEDir. 2009/28/UEDir. 2018/2001, L. n. 20 del 2002, recante Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, Regolamento 2018/1999/UE, Piano Energetico Integrato per Energia e Clima “PNIEC” 2021-2030, PNRR, legge sul clima e Green Deal Europeo e Direttiva UE 2018/2001, da ultimo sancita con il regolamento (UE) 2022/2257 che istituisce, altresì, la presunzione di prevalenza dell’interesse alla diffusione delle rinnovabili sugli altri interessi pubblici e privati in gioco anche rispetto al principio di non deterioramento delle acque fissato dalla Dir. 2000/60/CE la quale, comunque, all’art. 4 par. 7) prevede una deroga al principio di no deterioration; nonchè il principio di non discriminazione dei produttori di energia da fonti rinnovabili di cui all’art. 4, par. 4) e 6) lett. a) della direttiva UE 2018/2001, ostino alla normativa regolamentare contenuta nella Delib. Conferenza istituzionale permanente n. 1 del 2017 del Distretto idrografico delle Alpi orientali nonchè alla sua prassi applicativa sinora descritta, che affida a un sistema di presunzioni insuperabili e non fondate su un certo e verificabile criterio scientifico la determinazione dello stato qualitativo dei corpi idrici superficiali e del rischio ambientale connesso alla realizzazione di derivazione d’acqua, permettendo all’amministrazione regionale di esprimere un’aprioristica valutazione di impatto ambientale sfavorevole delle derivazioni d’acqua a scopo di produzione di energia pulita nonchè allo scadimento/decadimento dello stato dei corpi idrici;

– se la tutela del diritto ad un ricorso effettivo, di cui all’art. 47 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, osti all’orientamento giurisprudenziale che ha avallato tale prassi applicativa la quale impedisce, di fatto, al privato di dimostrare l’erroneità delle risultanze fornite dall’Amministrazione in sede procedimentale relativamente alla classificazione dei corpi idrici, alla valutazione del rischio ambientale connesso alla realizzazione di derivazioni d’acqua nonchè alla determinazione della compatibilità ambientale delle derivazioni, anche qualora sia provato che la presunzione adottata sia manifestamente irragionevole ed errata” La Provincia di Belluno ha depositato memoria, segnalando che il presente ricorso è connesso al ricorso n. 24187/2022 (sent. TSAP n. 115/22, Torrente Federa) ed al ricorso n. 24193/2022 (sent. TSAP n. 113/22, Rio Bigontina) trattenuti in decisione nell’adunanza camerale del 24/10/2023, ed aventi ad oggetto le stesse tematiche.

p. 3.3 Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità ovvero infondatezza del ricorso, attesi sia i limiti del sindacato esercitabile dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche sui provvedimenti amministrativi impugnati, sia i limiti della censurabilità in sede di legittimità, posto che: “nelle materie di cui al R.D. n. 1775 del 1933art. 143 e con specifico riferimento all’impugnazione del decreto che accerti o neghi la compatibilità ambientale dell’opera progettata, il ricorso per cassazione è esperibile, oltre che per i vizi indicati dall’art. 201 del citato R.D. (incompetenza ed eccesso di potere), per ogni violazione di legge, sostanziale e processuale, ma non può essere utilizzato per conseguire una rinnovata valutazione dell’opera, sostituendo un diverso giudizio di impatto ambientale a quello espresso dalla regione, nè a prospettare soluzioni progettuali alternative a quella adottata dall’amministrazione, invadendone la sfera di discrezionalità (Cass. S.U. 13 febbraio 2023 n. 4434), atteso che detto tipo di giudizio eccede, prima ancora di quello di legittimità, i limiti del sindacato del TSAP sull’atto amministrativo impugnato (Cass. S.U. 29 aprile 2021 n. 11291)” (Cass., sez. un., ord. 6 luglio 2023, n. 19227)”.

p. 4.1 Il primo motivo di ricorso principale è inammissibile, dovendosi in ciò fare applicazione del fermo indirizzo di legittimità per cui è tale il motivo di ricorso che investa un punto della decisione impugnata privo del carattere di decisività. Indirizzo cui si correla l’affermazione, comunemente condivisa, per la quale in sede di legittimità non si possono proporre – non sussistendone l’interesse – censure avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata che siano svolte ad abundantiam o come meri obiter dicta; argomentazioni che, proprio in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione (per tutte: Cass. nn. 22380/148676/094053/0913068/07).

Orbene, che proprio questa sia la situazione processuale qui riscontrabile si evince dal fatto che il Tribunale Superiore, pur dopo aver in effetti dichiarato fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo stante il sopravvenuto giudicato di annullamento (sent. 136/19 cit.) della menzionata determina provinciale di concessione idraulica, non ha poi fatto discendere da questa dichiarazione alcuna pratica conseguenza, se solo si consideri che esso:

– non approfondisce la questione (centrale in un’ottica di effettiva persuasione di inammissibilità per carenza di interesse) della relazione procedimentale, di autonomia ovvero dipendenza, intercorrente tra il provvedimento sulla derivazione idraulica e quello di VIA;

– nel successivo sviluppo motivazionale del proprio convincimento si diffonde ampiamente – in modo chiaramente incompatibile con una soluzione di rito che avrebbe logicamente dovuto altrimenti comportare l’immediato esaurimento del decisum – sugli aspetti di merito della lite;

– subito dopo aver formalmente dichiarato la fondatezza dell’eccezione in questione, ha poi ritenuto di dover precisare che questa circostanza “tendeva” a “dequotare le varie argomentazioni attoree (…)”, con ciò solo palesando di non voler affatto poggiare la decisione su questa dichiarazione, quanto soltanto trarre dal giudicato di annullamento un ulteriore argomento di svilimento nel merito delle tesi della società ricorrente;

– ha poi deciso il ricorso con un dispositivo che non è stato di inammissibilità a seguito e per effetto di questo giudicato, bensì di rigetto nel merito, per giunta con compensazione delle spese stante la “complessità della controversia”.

p. 4.2 Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile, e ciò per ragioni strettamente correlate e consequenziali a quelle che si sono appena dette.

La questione delle misure di salvaguardia e della possibilità di derogare alla superficie minima di bacino dei corpi idrici in relazione ai prelievi per uso idroelettrico (Misura n. 6 PdGa 2015-2021 Alpi Orientali) concerneva appunto, non la VIA (oggetto specifico ed esclusivo del giudizio), ma la derivazione, tanto che la stessa società riconosce che questo profilo non venne neppure dedotto nell’opposto decreto regionale di VIA non favorevole.

Ed in effetti il TSAP la affronta – sempre in correlazione con l’eccezione di parte resistente circa l’inammissibilità del ricorso per annullamento della Delib. di derivazione – al diverso fine di escludere che la società potesse comunque avvalersi in futuro di una derivazione sul medesimo Rio Bosco, previa sollecitazione della PA ad un nuovo esercizio del relativo potere.

Dunque, al di là del fatto – attestante in ogni caso anche l’infondatezza della doglianza – che la deroga invocata dalla ricorrente doveva essere comunque prevista in via generale ed astratta, non caso per caso, e che nella specie non era stata disposta (anche perchè necessitante della specificazione delle condizioni delle misure suppletive di tutela per i corsi d’acqua idonei ad assicurare un livello equivalente di protezione), resta che, per le già svolte considerazioni, la decisione qui impugnata si basa in realtà in via autonoma ed assorbente sulla ritenuta assenza di vizi intrinseci all’atto di VIA, e non sul fatto che quest’ultimo non potesse in ogni caso essere più rilasciato alla società stante l’insuperabile preclusione ad una nuova derivazione.

Il che dimostra come la censura in esame non abbia esattamente colto la ratio del TSAP, insistendo su un profilo – la astratta e separata ottenibilità di una nuova derivazione del Rio Bosco in virtù della deroga di superficie minima – ad essa estraneo ed invece correlato, per le già indicate ragioni, ad un ragionamento privo di reali conseguenze decisorie e reso ad abundantiam.

p. 4.3 Il terzo motivo di ricorso è costituito dal complesso e coacervato accorpamento di plurime doglianze, tale da esaurire quasi per intero – nella denuncia della violazione di norme procedurali e sostanziali, di rango ordinario e costituzionale, nonchè di omesso esame di fatti decisivi e di radicale nullità della sentenza per difetto di motivazione – il catalogo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1.

Ciò denota una sua prima ragione di inammissibilità, stante l’evidente difficoltà di addivenire ad un certo e piano riordino delle doglianze in vista di una separata disamina e decisione, come invece si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati e non inestricabilmente cumulati (v. Cass. SSUU n. 9100/15 e molte altre).

E tuttavia, quand’anche si ritenga possibile da tutto ciò estrapolare quantomeno un nucleo censorio chiaramente definibile, il motivo si paleserebbe di nuovo inammissibile, perchè rivolto ad una sostanziale e complessiva confutazione dell’accertamento fattuale e valutativo del merito amministrativo e della discrezionalità tecnica della PA, come tale di sicuro non censurabile nella presente sede di legittimità, non preposta nè alla pura ripetizione del grado a quo nè, ed a maggior ragione, addirittura alla riproduzione del procedimento amministrativo di partenza.

Così quanto tra il resto, ed in maniera eclatante, a confutazione della franosità della sede idrica di riferimento, della suscettibilità di debris flow del Rio Bosco, del livello della qualità idrica (buono-cattivo), della adeguatezza, validità ed idoneità allo scopo classificatorio di determinati criteri ed indici tecnici di rilevazione (oltre che delle modalità di spazio-tempo nelle quali essi sono stati in concreto applicati).

Si riafferma che contro le decisioni pronunciate, in unico grado o in grado d’appello, dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, il ricorso per cassazione è ammesso, ai sensi dell’art. 111 Cost., per violazione di legge, e soltanto per vizi della motivazione che si traducano nella sua inesistenza, contraddittorietà o mera apparenza, mentre non è consentita al giudice di legittimità la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti, verifica che porterebbe ad un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass. SSUU nn. 28220/1815281/2315931/23 e molte altre).

Sennonchè le doglianze in esame (con ciò mostrandosi un’altra volta inammissibili) non solo non si fanno carico dei limiti di sindacato esercitabili in sede di legittimità sulla pronuncia del TSAP, ma neppure considerano i limiti di sindacato esercitabili da quest’ultimo rispetto all’azione della PA connotata da discrezionalità tecnica ed amministrativa.

Si è in proposito osservato (Cass. SSUU n. 11291/21 ed altre) che l’ambito del sindacato del TSAP, qualora sia chiamato a pronunciarsi in unico grado sulla legittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati, è limitato all’accertamento dei vizi possibili dello svolgimento della funzione pubblica, compresi quelli denotati dalle figure sintomatiche dell’eccesso di potere. In tal modo, se è vero che esso attiene altresì alla verifica della ragionevolezza e proporzionalità della scelta rispetto al fine, altrettanto indubbio è che questo sindacato non si estende alle ragioni di merito, dovendosi arrestare dinanzi non solo alle ipotesi di scelte equivalenti, ma anche a quelle semplicemente meno attendibili, purchè congruenti con il fine da raggiungere e con le esigenze da governare.

Queste interdipendenti perimetrazioni di sindacabilità, di portata generale, trovano poi pregnante e rafforzata applicazione quando l’oggetto del vaglio giurisdizionale del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche sia costituito proprio da un provvedimento di VIA, essendosi ancora di recente stabilito (Cass. SSUU n. 19227/23) che: “Al riguardo va richiamato il principio già espresso da queste Sezioni Unite secondo cui, nelle materie di cui al R.D. n. 1775 del 1933art. 143 e con specifico riferimento all’impugnazione del decreto che accerti o neghi la compatibilità ambientale dell’opera progettata, il ricorso per cassazione è esperibile, oltre che per i vizi indicati dall’art. 201 del citato R.D. (incompetenza ed eccesso di potere), per ogni violazione di legge, sostanziale e processuale, ma non può essere utilizzato per conseguire una rinnovata valutazione dell’opera, sostituendo un diverso giudizio di impatto ambientale a quello espresso dalla Regione, nè a prospettare soluzioni progettuali alternative a quella adottata dall’amministrazione, invadendone la sfera di discrezionalità (Cass. S.U. 13 febbraio 2023 n. 4434), atteso che detto tipo di giudizio eccede, prima ancora di quello di legittimità, i limiti del sindacato del TSAP sull’atto amministrativo impugnato (Cass. S.U. 29 aprile 2021 n. 11291)”.

Rileva, in particolare, il carattere altamente discrezionale (non avulso da una funzione di vero e proprio “indirizzo politico nell’uso del territorio”) che assume la VIA secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (v. sent. 7.9.2020 n. 5379, 6.4.2020 n. 2248) nel senso che, nel formulare il giudizio di impatto ambientale, la PA esercita una amplissima discrezionalità che non si esaurisce in una mera valutazione tecnica, come tale suscettibile di una valutazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa ed istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti, con la conseguenza che il sindacato del giudice amministrativo in materia è necessariamente limitato alla manifesta illogicità ed incongruità, al travisamento dei fatti o a macroscopici difetti di istruttoria ovvero quando l’atto sia privo di idonea motivazione. E ciò appunto perchè la valutazione di impatto ambientale non è un mero atto tecnico di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico – amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio, in senso ampio, attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei contrapposti interessi pubblici e privati.

I criteri così elaborati dal Consiglio di Stato trovano conferma anche nella giurisprudenza di queste stesse Sezioni Unite, la quale ha più volte osservato (v. Cass. SSUU nn. 21974/2111423/217833/2010018/19) che il giudizio di compatibilità ambientale, pur reso sulla base di oggettivi criteri di misurazione (pienamente esposti al sindacato del giudice), è pervaso da profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse dell’esecuzione dell’opera. Tale apprezzamento è sindacabile dal giudice amministrativo, nella pienezza della cognizione del fatto, soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel caso in cui l’istruttoria sia mancata o sia stata svolta in modo inadeguato e risulti, perciò, evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione. Ne discende che le valutazioni tecniche complesse – rese in sede di VIA – sono pertanto censurabili solo per macroscopici vizi di irrazionalità e ciò proprio perchè le scelte della P.A., che devono essere fondate su criteri di misurazione oggettivi e su argomentazioni logiche, non si traducono in un mero giudizio tecnico, essendo la VIA un istituto finalizzato alla tutela preventiva dell’interesse pubblico e connotato da profili particolarmente elevati di discrezionalità amministrativa.

Orbene, nel caso di specie la sentenza impugnata ha dato compiutamente conto delle contestazioni mosse dalla società, e ciò ha fatto attraverso una motivazione del tutto adeguata e non certo assente, apparente, contraddittoria o perplessa, come vorrebbe la ricorrente: ben inteso, sui profili di legittimità e merito attingibili dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche secondo i suddetti limiti.

Un discorso parzialmente diverso va fatto per quella specifica censura, rilevante ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con la quale la società lamenta il fatto che il Tribunale non abbia rilevato che la PA, in presenza di cause ostative alla realizzazione degli interventi, in luogo di opporre senz’altro il rifiuto, ha l’obbligo di valutare eventuali soluzioni alternative (anche in materia di concessioni di derivazione di acqua pubblica) e di impartire prescrizioni volte a superare le criticità rilevate; e ciò in un contesto in cui le ravvisate criticità idrogeologiche asseritamente determinanti un rischio ambientale “alto” ben potevano, in effetti, essere facilmente superate attraverso la modificazione del progetto dell’impianto, come dimostrato in giudizio.

Va in primo luogo considerato che la ricorrente non indica se e con quali modalità e forme la questione – di cui non si tratta in sentenza – sia stata devoluta al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, con conseguente applicazione dell’indirizzo secondo cui “qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione” (tra le molte, Cass. nn. 20694/1815430/18).

In secondo luogo, sebbene formulata come violazione o falsa applicazione di legge, la doglianza presuppone indefettibilmente un accertamento fattuale qui non esperibile in ordine alla pratica fattibilità di soluzioni alternative al diniego di autorizzazione dell’impianto, sicchè: “in sede di legittimità non è consentita la proposizione di nuove questioni di diritto, ancorchè rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, quando esse presuppongano o richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di Cassazione” (tra le molte, Cass. nn. 2443/1610319/06).

In terzo luogo – come eccepito dalle controricorrenti – essa neppure si fa carico di riferire la natura concorrenziale e competitiva in concreto assunta dalla procedura volta all’ottenimento dell’autorizzazione di impianto sul Rio Bosco (stante analoga istanza presentata da altro aspirante, la Zollet Ingegneria Srl ) così da omettere del tutto il pur fondamentale aspetto costituito dalla incompatibilità di un’eventuale proposta adeguatrice della PA con il dovere di imparzialità e non interferenza sulle condizioni di gara.

In quarto luogo, e volendo comunque delibare il fondo della censura, se ne rileverebbe l’infondatezza, dal momento che L. n. 241 del 1990, ex art. 14 bis (Conferenza semplificata): (…) “3. Entro il termine di cui al comma 2, lett. c), le amministrazioni coinvolte rendono le proprie determinazioni, relative alla decisione oggetto della conferenza. Tali determinazioni, congruamente motivate, sono formulate in termini di assenso o dissenso e indicano, ove possibile, le modifiche eventualmente necessarie ai fini dell’assenso. Le prescrizioni o condizioni eventualmente indicate ai fini dell’assenso o del superamento del dissenso sono espresse in modo chiaro e analitico e specificano se sono relative a un vincolo derivante da una disposizione normativa o da un atto amministrativo generale ovvero discrezionalmente apposte per la migliore tutela dell’interesse pubblico.” Si tratta di previsione generale che, da un lato, presuppone essa stessa che le prescrizioni adeguatrici siano indicate “ove possibile” e che, dall’altro, va adattata alla peculiarità del rapporto tra tutela della qualità idrica-idrogeologica del territorio e favore per gli impianti di produzione FER. Sotto quest’ultimo profilo rileva la giurisprudenza CGUE circa l’obbligo di reiezione, che grava senz’altro in capo a ciascuno Stato membro, di istanze di autorizzazione di un progetto che sia dalla PA reputato tale da deteriorare lo stato del corpo idrico o da pregiudicare il conseguimento di un “buono stato” dei corpi idrici superficiali o sotterranei, fatte salve le deroghe parimenti previste dall’art. 4 dir. 2000/60/CE (CGUE 28 maggio 2020, C-535/18, I.L. e altri, punto 74; CGUE 1 luglio 2015, Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland, C-461/13, punto 50).

p. 4.4 Il quarto motivo di ricorso attinge più direttamente al cuore della controversia, rappresentato dal contemperamento – all’interno di un comparto valoriale segnato dal medesimo fine di protezione ambientale – del principio UE di non deterioramento (da ritenersi attuativo del più generale principio di precauzione) rispetto al c.d. “favor FER”.

Esso è infondato.

L’art. 4, par. 1, lett. i), della Dir. 2000/60/CE (Quadro Acque) stabilisce che “gli Stati membri attuano le misure necessarie per impedire il deterioramento dello stato di tutti i corpi idrici superficiali”, così fissando il principio di non deterioramento che è stato recepito nel D.Lgs. n. 152 del 2006art. 76, comma 4, e fatto proprio anche dal R.D. n. 1775 del 1933art. 12 bis come sostituito dallo stesso D.Lgs. n. 152 del 2006art. 96, comma 3; tale principio, come è stato rilevato da queste Sezioni Unite, può considerarsi il “precipitato” del più generale principio di precauzione, di cui all’art. 191 TFUE, che rappresenta, nell’ordinamento Eurounitario, il “cardine della politica ambientale” e che è pertanto sovraordinato rispetto al diritto interno (così, in motivazione, Cass. SSUU nn. 2502/2029299/21 con richiami).

La regola dell’obbligatorietà delle misure necessarie per impedire il deterioramento dello stato dei corpi idrici superficiali soffre eccezione nelle fattispecie previste dall’art. 4, par. 7, della direttiva e D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 77, comma 10 bis, lett. b): e cioè in presenza di una “incapacità di impedire il deterioramento da uno stato elevato ad un buono stato di un corpo idrico superficiale” che risulti “dovuto a nuove attività sostenibili di sviluppo umano”. La deroga è quindi ammessa in presenza di precise condizioni, tra cui è ricompresa quella posta dalla lett. b) dell’art. 4, par. 7, della direttiva (“le motivazioni delle modifiche o alterazioni sono menzionate specificamente e illustrate nel piano di gestione del bacino idrografico prescritto dall’art. 13 e gli obiettivi sono riveduti ogni sei anni”), cui corrisponde, sul piano della disciplina statuale, la previsione contenuta nel cit. art. 77, comma 10 bis, lett. b), n. 2) (secondo cui le misure possibili per mitigare l’impatto negativo sullo stato del corpo idrico devono essere “indicate puntualmente ed illustrate nei piani di cui agli artt. 117 e 121 le motivazioni delle modifiche o delle alterazioni e gli obiettivi siano rivisti ogni sei anni”).

Si è già osservato (si rinvia sul punto, tra le altre, a Cass. SSUU n. 11291/21) che, come anche ribadito da Corte Cost. n. 148 del 2019, la disciplina delle fonti rinnovabili tende a favorire la produzione di energia pulita secondo standard di sviluppo sostenibile dal punto di vista energetico L. 28 dicembre 2015, n. 221, ex art. 72. Si tratta di obiettivo radicato in fonti sia internazionali (Protocollo di Kyoto addizionale alla Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottato l’11 dicembre 1997, ratificato e reso esecutivo con L. 1 giugno 2002, n. 120; Statuto dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili IRENA, fatto a Bonn il 26 gennaio 2009, ratificato e reso esecutivo con L. 5 aprile 2012, n. 48) sia unionali (direttiva 2001/77/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001, sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, e direttiva 2009/28/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili) le quali manifestano un deciso favor per le fonti energetiche rinnovabili al fine di eliminare la dipendenza dai carburanti fossili (v. anche direttiva 2018/2001/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili).

Ciò fa sì che – e solo su questo si conviene con la tesi della società ricorrente – il principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile, così derivante dalla normativa internazionale ed Europea, e recepito dal legislatore nazionale, non consente alle singole Regioni di adottare legittimamente una normativa regionale concorrente che si ponga in contrasto con questi principi, così da stabilire dei divieti “assoluti” ed inderogabili di realizzazione di impianti da energie rinnovabili, nè di adottare provvedimenti amministrativi che precludano la realizzazione di tale finalità in assoluto. Residua invece spazio alle Regioni per individuare, caso per caso, situazioni in cui l’interesse allo sfruttamento dell’energia da fonte rinnovabile debba essere recessivo rispetto ad altri interessi costituzionalmente protetti, che rispondano anch’essi a principi affermati a livello Europeo. Il favore che assiste la produzione dell’energia idroelettrica deve in definitiva essere bilanciato, nell’ambito dei procedimenti amministrativi (ivi compresi quelli preposti alla VIA), con le altre esigenze sottese alla competenza regionale in materia ambientale e di acque.

Nel caso in esame, diversamente da quanto vorrebbe la ricorrente nella doglianza in esame, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha correttamente rilevato che il decreto regionale di VIA non favorevole, pur ostativo all’insediamento di un impianto di produzione FER, non esprimeva l’affermazione di un divieto assoluto ed inderogabile, ma trovava legittimazione all’esito del contemperamento con il concorrente interesse tutelato di non deterioramento del livello qualitativo del Rio Bosco nel contesto Ampezzano di ubicazione.

E questo approdo concettuale del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche risulta pienamente in linea, oltre che con la giurisprudenza CGUE da esso citata (dec. 19.11.2020 n. 663, dec. 25.6.2020 n. 24) anche con quella di queste Sezioni Unite (v. Cass. SSUU n. 11291/2110018/1933091/19 citt. ed altre) affermativa, sulla base della riportata disciplina UE, della prevalenza generale del principio Eurounitario di precauzione, su quello del favor per la produzione di energia da fonti rinnovabili; sicchè la preclusione alla realizzazione dell’impianto FER sul Rio Bosco, pur ridondando in un sacrificio dell’interesse, tutelato a livello comunitario e internazionale, alla produzione di energia cd. “pulita”, aveva trovato fondamento nel diverso interesse, anch’esso protetto dalla normativa Europea, del “non deterioramento” dei corsi d’acqua particolarmente fragili e al contempo valorizzabili perchè recanti un livello di qualità tecnicamente individuato come elevato.

Resta, come si è anticipato, che anche il principio di non deterioramento di cui all’art. 4 Direttiva Quadro Acque può trovare deroga ai sensi del paragrafo 7 lett. b) cit., a condizione che “le motivazioni delle modifiche o alterazioni siano menzionate specificamente e illustrate nel piano di gestione del bacino idrografico prescritto dall’art. 13 e gli obiettivi siano riveduti ogni sei anni”; là dove, nel caso di specie, nè il piano di gestione nè il piano di tutela delle acque (PTA) indicavano deroga alcuna e, quindi, alcuna motivazione di scelte di pianificazione volte a sminuire e retrocedere il principio di non deterioramento, sia pure entro gli stretti limiti in cui ciò fosse consentito dalla Direttiva.

Altrimenti detto, il TSAP ha fatto corretta applicazione della normativa di riferimento e in particolare del principio, enunciato anche dalla giurisprudenza unionale, per cui l’obbligo di impedire un deterioramento continua ad essere vincolante in ogni fase dell’attuazione della Direttiva Quadro Acque applicabile ad ogni tipo e ad ogni stato di corpo idrico superficiale per il quale sia stato adottato un piano di gestione.

Sicchè se un progetto sia ritenuto idoneo a determinare effetti negativi per il livello qualitativo della risorsa idrica, esso può essere autorizzato solo se siano previste e soddisfatte le condizioni dettate all’art. 4, par. 7, lett. da a) a d), della medesima direttiva (CGUE 4 maggio 2016, C 346/14, Commissione Europea contro Repubblica d’Austria, punti 64 e 65, con richiamo a CGUE, C-461/13, cit., punto 50, e a CGUE 11 settembre 2012, Nomarxiaki Aftodioikisi Aitoloakarnanias e altri, C-43/10 punti 67 e 69); evenienza di deroga eccezionale che, come detto, qui non ricorreva in base agli strumenti generali di governo normativo ambientale dei bacini e delle acque.

p. 4.5 Anche il quinto motivo di ricorso è infondato.

Con esso la società ricorrente lamenta che il TSAP, pur ammettendo l’inapplicabilità ratione temporis alla fattispecie della c.d. “direttiva derivazioni” (citata deliberazione del Distretto delle Alpi Orientali n. 1 del 14 dicembre 2017, assunta in attuazione del D.M. n. 29/STA 13 febbraio 2017, art. 2), abbia poi inopinatamente considerato la stessa quale miglior strumento tecnico-scientifico obiettivo di valutazione del rischio ambientale.

Va intanto premesso che la direttiva in questione prevedeva essa stessa di assumere “il valore di linee guida a supporto della valutazione di compatibilità della derivazione rispetto agli obiettivi del piano di gestione vigente” per le istanze in corso di istruttoria dalla data di adozione al 30 giugno 2018, così da risultare applicabile anche nel caso di specie, in forza della disciplina transitoria di cui al suo art. 7.

Al di là del problema della vigenza, però, è dirimente osservare come – sempre in ragione del principio di precauzione e non deterioramento, e nell’esercizio di discrezionalità tecnica – nulla ostasse a che la PA applicasse alla fattispecie criteri in tutto corrispondenti a quelli della “direttiva derivazione”, assunti non nella loro imperatività e cogenza ma nella loro portata di criteri di massima precauzione e di più consona attuazione del principio di non deterioramento. E’ questo che chiaramente il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche vuol significare là dove osserva che, appunto indipendentemente dalla pertinenza ratione temporis e materiae di questa direttiva, “la conoscenza e la disponibilità del criterio scientifico per la qualificazione del rischio ambientale, non avendo carattere normativo, comunque era nel libero, ragionevole e proporzionato apprezzamento tecnico-discrezionale del CTRD in coerenza con il R.D. n. 1775 del 1933art. 12 bis” (sent. pag. 13).

Va detto che fattispecie in parte analoga alla presente è stata recentemente vagliata da questa Corte di legittimità (ord. SSUU n. 10054/23, con ulteriori richiami) su ricorsi della PA (tra cui Regione Veneto e Provincia di Belluno), nei confronti dell’odierna società Dolomiti Derivazioni Srl , con riguardo alla procedura VIA e di derivazione idroelettrica dal torrente Liera nel Comune di Canale d’Agordo.

Ebbene, questa pronuncia – con affermazioni che vanno qui pienamente condivise e riaffermate nell’ambito di orientamenti interpretativi che si sono visti essere ormai consolidati – ha posto a sua volta in evidenza (facendone in quell’occasione discendere l’accoglimento dei ricorsi) la preminente centralità in materia del principio di precauzione ambientale e di non deterioramento, in una con la natura prettamente discrezionale del parere di VIA. Per quello che a questo punto del discorso più rileva, si osserva poi come la pronuncia da ultimo citata abbia specificamente affrontato il problema della efficacia delle linee-guida di cui alla direttiva derivazioni.

Ricostruita la loro diretta consequenzialità all’attuazione interna della Direttiva Quadro e dei principi di precauzione e non deterioramento (in quanto contenute nella “direttiva derivazioni” adottata dalla Conferenza Istituzionale Permanente delle Alpi Orientali il 14.12.2017 congiuntamente alla “direttiva deflussi” e secondo le Linee Guida uniformi sui deflussi ecologici e per la valutazione ambientale ex ante delle derivazioni, di cui ai DD.MM. Ambiente n. 29 del 2007 e n. 30 del 2017 conformativi a due procedure d’infrazione già avviate nei confronti dell’Italia) Cass. SSUU n. 10054/23 in esame ha osservato che:

– diversamente da quanto in quel caso sostenuto dal TSAP, “la nozione di “linee guida” non può equivalere a quella di “parametri suppletivi” poichè essa integra un criterio di giudizio più elevato, delineando un corpus di raccomandazioni di comportamento tecnico elaborate mediante un processo di revisione sistematica dei parametri tecnici e delle opinioni di esperti che, come tali, concorrono – e non solo suppliscono ad eventuali deficienze – nell’applicazione dei criteri tecnici (…)”;

– se per le nuove concessioni il complesso delle indicazioni e prescrizioni contenute nella direttiva derivazioni costituiva l’ambito tecnico necessario ed imprescindibile per la valutazione di compatibilità delle nuove opere, nondimeno per quelle pregresse (e in fase di istruttoria) esso assumeva pur sempre “esplicito rilievo quali parametri di cui l’Autorità non solo doveva tenere conto, perchè concorrenti, ma dei quali, proprio per la loro efficacia generale come linee-guida, essa avrebbe dovuto giustificare l’eventuale scostamento, sicchè informavano in ogni caso, anche in assenza di lacune, la valutazione”;

– l’obiettivo unionale della più elevata tutela del corpo idrico ben poteva giustificare l’adozione, da parte della PA, di criteri ancor più rigorosi delle stesse linee-guida, neppure potendosi considerare queste ultime “come un limite esaustivo e vincolante” nel senso indicato della massima protezione ambientale.

Tornando al Rio Bosco, il solo assunto della inapplicabilità ratione temporis delle linee guida in questione (assunto sul quale si basa il motivo di ricorso) risulta dunque obiettivamente troppo angusto, facendosi qui questione non di successione di leggi e regolamenti nel tempo, bensì di una fonte normativa – di immediata derivazione UE – alla quale la PA poteva conformarsi indipendentemente da una regola di formale vigenza; e sempre che i criteri tecnico-scientifici di apprezzamento del rischio di deterioramento idrico conseguente all’intervento in progetto da essa desumibili non si palesassero chiaramente erronei o irragionevoli (evenienza che il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha implicitamente ma univocamente escluso).

p. 5. Come anticipato, la società ricorrente ha chiesto in memoria, in via subordinata, che questa Corte disapplichi l’art. 6 delle misure di salvaguardia del PdGA e la più volte considerata Direttiva Derivazioni del 14 dicembre 2017 n. 1, ovvero sospenda il presente giudizio per rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sui quesiti che si sono sopra riportati (p. 3.2).

Si tratta di istanze la cui inaccoglibilità discende all’evidenza da quanto sin qui argomentato sulla base di solidi e condivisibili indirizzi giurisprudenziali, anche della stessa CGUE. Non è il caso di ripercorrere l’intero ragionamento, se non per un’ultima volta richiamare il fatto che tanto la misura di salvaguardia (peraltro, come ad altro fine osservato, neppure attinente alla ratio decidendi) quanto la “direttiva derivazioni” che si vorrebbero disapplicare costituiscono esse stesse pregnanti misure di matrice unionale, volte ad attuare e concretare nel bacino idrico Alpi Orientali quella primazia del principio di non deterioramento rispetto al “favor Fer” (in assenza dei presupposti di deroga) che costituisce l’essenza del criterio decisionale correttamente adottato dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche; sicchè proprio la eventuale loro disapplicazione denoterebbe – questa sì – un’interpretazione in contrasto con la normativa e la giurisprudenza unionale.

Nè il caso sottoposto a questa Corte potrebbe farsi fondatamente rientrare, così da ravvisarvi un frontale contrasto con la disciplina unionale, nel paradigma di un’applicazione meccanicistica ed inderogabile del criterio di prevalenza del principio di non deterioramento sul “favor Fer” (tale da precludere all’operatore FER interessato di dimostrare la sussistenza dei presupposti di deroga, anche sulla scorta di diverse valutazioni tecnico-scientifiche) dal momento che, come anche sul punto si è già osservato, il TSAP non ha assunto questo parametro di giudizio “assoluto”, addivenendo piuttosto ad una valutazione di legittimità del parere non favorevole di VIA proprio all’esito del bilanciamento degli interessi e delle risultanze tecnico-fattuali sulle caratteristiche della risorsa idrica così come già compiute dalla PA competente nel contraddittorio con la società.

In nessun modo si ravvisano nella specie i presupposti dell’incertezza interpretativa che dovrebbero giustificare la devoluzione pregiudiziale della questione alla CGUE ex art. 267 TFUE, vertendosi di materia già ampiamente vagliata anche dal giudice unionale sulla scorta dei precedenti che si sono indicati (si rinvia, sulla delimitazione in generale dei presupposti della rimessione da parte di questa Corte quale giudice di ultima istanza, alla consolidata giurisprudenza di legittimità, tra cui Cass. Sez. Lav. n. 36776/22).

Quanto poi a quello specifico dubbio di contrasto con il diritto dell’Unione che la società ricorrente vuole individuare nella sopravvenuta adozione del Regolamento UE Consiglio n. 2022/2257 (rectius 2577), l’istanza di rimessione si palesa finanche irrilevante perchè relativa ad una fonte normativa qui non applicabile.

Infatti il Regolamento in questione, adottato il 22.12.2022, muove (Considerando 1) dalla “guerra di aggressione della Federazione Russa nei confronti dell’Ucraina” ed ha ad oggetto misure di accelerazione delle procedure di diffusione delle energie rinnovabili al fine di fronteggiare “la riduzione senza precedenti delle forniture di gas naturale dalla Federazione Russa agli Stati membri”, tale da minacciare la sicurezza dell’approvvigionamento dell’Unione.

Esso stabilisce conseguentemente (art. 1, comma 1) norme meramente temporanee di carattere dichiaratamente emergenziale tese ad accelerare la procedura autorizzativa applicabile alla produzione di energia da fonti rinnovabili. A tal fine si applica a tutte le procedure autorizzative “la cui data di inizio rientra nella durata della sua applicazione” (art. 1, comma 2), stabilita in diciotto mesi (art. 10) dall’entrata in vigore. Definisce poi (art. 3, comma 1) la pianificazione, la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, quali interventi “di interesse pubblico prevalente e di interesse per la sanità e la sicurezza pubblica nella ponderazione degli interessi giuridici nei singoli casi”, e ciò “anche ai fini dell’art. 4, paragrafo 7, della direttiva 2000/60/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio”. Dispone quindi che gli Stati membri (art. 3, comma 2) provvedano a che nella procedura di pianificazione e autorizzazione, “in sede di ponderazione degli interessi giuridici nei singoli casi”, sia accordata priorità alla costruzione e all’esercizio degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, nonchè allo sviluppo della relativa infrastruttura di rete, quanto meno per i progetti riconosciuti come d’interesse pubblico prevalente.

Ora, al di là del fatto che nel caso concreto, come si è visto, è venuta meno finanche la derivazione idrica, risulta comunque evidente che si tratta di un Regolamento:

– avente natura dichiaratamente emergenziale in relazione alle conseguenze dei noti fatti bellici in atto sull’approvvigionamento energetico;

– proprio per questo, valevole per un periodo limitato di tempo ed in relazione alle sole procedure autorizzative iniziate durante la sua vigenza (quale quella qui dedotta di certo non è);

– presupponente in ogni caso che la priorità alla costruzione ed all’esercizio degli impianti FER venga dai singoli Stati attuata, seppure in attuazione delle deroghe di cui alla Direttiva Quadro Acque, nella ponderazione degli interessi giuridici propri dei singoli casi.

p. 6. In definitiva, ne segue il rigetto del ricorso principale di Dolomiti Derivazioni Srl , il che assorbe il motivo di ricorso incidentale proposto dalla Regione Veneto e dalla Provincia di Belluno.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso principale, assorbiti quelli incidentali;

– condanna parte ricorrente principale alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 a favore della Provincia di Belluno ed in Euro 5.000,00 ciascuna a favore delle altre parti controricorrenti Regione Veneto e Regole d’Ampezzo, il tutto oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario ed accessori di legge;

– v.to il D.P.R. n. 115 del 2002art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civile, il 7 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2023