CASSAZIONE PENALE, Sez. II, 03 ottobre 2023, n. 40107

CASSAZIONE PENALE, Sez. II, 03 ottobre 2023, n. 40107

Ai fini dell’integrazione dei reati di cui agli artt. 473 e 474 cod. pen., posti a tutela del bene giuridico della fede pubblica, è necessaria la materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio o segno distintivo che siano tali da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento, a differenza del reato previsto dall’art. 517 ter cod. pen., che tutela esclusivamente il patrimonio del titolare della proprietà industriale, il quale ricorre sia nell’ipotesi di prodotti realizzati ad imitazione di quelli con marchio altrui, sia nell’ipotesi di fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti “originali” da parte di chi non ne è titolare.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGO Geppino – Presidente –

Dott. IMPERIALI Luciano – Consigliere –

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A., nato a SALERNO il 15/06/1979;

avverso l’ordinanza del 21/11/2022 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI;

udita la relazione svolta dal Consigliere LUCIANO IMPERIALI;

sentite le conclusioni del PG ALESSANDRO CIMMINO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

udito il difensore, avvocato BRANDINA STEFANO del foro di RIMINI che si è riportato ai motivi di ricorso, chiedendo l’annullamento con o senza rinvio della sentenza impugnata.

Svolgimento del processo

1. A.A. ha proposto ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli, sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari personali e reali, che il 21/11/2022 ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso nei confronti del ricorrente, quale legale rappresentante della società (Omissis) Srl , avente ad oggetto 69.674 giocattoli, raccolti in 1.777 colli di merce, aventi origine e provenienza dalla Cina, in quanto ritenuti articoli riproducenti marchi (Omissis) e (Omissis) contraffatti.

Il Tribunale del riesame, infatti, ha riconosciuto il fumus commissi delicti – in relazione al reato di cui all’art. 474 c.p. e, conseguentemente, anche al reato di cui all’art. 648 c.p. – sulla base delle conclusioni a cui sono pervenuti vari consulenti tecnici incaricati delle verifiche sui prodotti originali, ritenuti in possesso delle necessarie competenze tecniche per esaminare i beni in sequestro, anche in collaborazione con le aziende titolari dei marchi in questione, sicchè si è ritenuto che i prodotti sequestrati fossero idonei a trarre in inganno i terzi, ingenerando errore circa l’origine dei prodotti, sull’autenticità o meno di questi e dei marchi. Il tutto rilevando che, anche qualora all’esito di perizie disposte dal pubblico ministero o in dibattimento si dovesse escludere l’ipotizzabilità di una delle condotte di cui all’art. 474 c.p., comunque si sarebbe in presenza di indizi del reato di cui all’art. 517 c.p.: ciò perchè, con riferimento all’assunto secondo cui per alcuni prodotti sarebbero stati riprodotti non già “marchi” bensì “disegni”, la configurabilità del reato di cui all’art. 474 c.p. discende anche dalla categoria dei cd. “marchi figurativi”, che non rappresentano un “nome”, ma un’opera dell’ingegno creativo e come tali tutelati comunque.

Il A.A. ha affidato il ricorso a tre motivi di impugnazione:

1.1. Violazione di legge per difetto di autonoma valutazione a norma degli artt. 291 comma 1 e 292 comma 2 c) bis c.p.p. e vizio di motivazione, da ritenersi erronea e del tutto apparente, non essendo stato annullato il provvedimento del GIP nonostante questo non avesse in alcun modo valutato gli elementi forniti dalla difesa con memoria depositata al P.M. – con richiesta di archiviazione – il giorno stesso della richiesta di applicazione della misura e che, pertanto, lo stesso pubblico ministero avrebbe dovuto inoltrare al GIP. 1.2. Con il secondo ed il terzo motivo di ricorso, trattati congiuntamente, la difesa ha dedotto la violazione degli artt. 474 c.p. e 648 c.p. ed altresì la violazione di legge, per mera apparenza di motivazione, in ordine al fumus della sussistenza dei delitti previsti dalle stesse norme di cui agli artt. 474 e 648 c.p., non potendosi attribuire apoditticamente il valore di perizie a quelle che sono semplici dichiarazioni scritte provenienti dalle società titolari dei diritti di proprietà industriale asseritamente, dichiarazioni dalle quali si contesta possa emergere addirittura “inconfutabilmente” il fumus del delitto di cui all’art. 474 c.p..

Si contesta, quanto ai prodotti a marchio (Omissis) che ci sia stata contraffazione dei marchi, e non già una mera violazione di disegni o modelli inidonea ai fini di cui all’art. 474 c.p..

Si menzionano pronunce della cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che escluderebbero la registrazione del marchio Lego, mentre i marchi tridimensionali del Cubo di Rubik sarebbero stati dichiarati invalidi e si deduce che le valutazioni del Tribunale del riesame in ordine ad una configurabilità del reato di cui all’art. 517 c.p. anche nel caso di semplice somiglianza del prodotto con quello originale porterebbe ad un’estensione analogica in malam partem del precetto penale. Il provvedimento impugnato, inoltre, viene censurato dal ricorrente sul rilievo che non indica quelle che dovrebbero essere considerate le caratteristiche individualizzanti e peculiari dei modelli che si assumono violati, nè tali caratteristiche emergerebbero nel verbale di sequestro o in quelle che impropriamente vengono indicate come “perizie”.

Si assume, inoltre, che per quanto riguarda il (Omissis) difetterebbe il fumus del deliitto in contestazione per essere scaduto il brevetto di invenzione nel 1995, per nullità assoluta dei marchi tridimensionali (Omissis), sicchè difetterebbe qualsiasi violazione idonea a configurare i reati astrattamente ipotizzati

Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato.

Il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, infatti, è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692; conf. S.U., 29/5/2008 n. 25933, non massimata sul punto).

3.1. Nessuno di tali vizi è riscontrabile nel provvedimento impugnato che, con un congruo percorso argomentativo, ha evidenziato una pluralità di elementi, fondati prevalentemente sull’esame della documentazione in atti, che hanno indotto a riconoscere il fumus dei reati ipotizzati, sufficiente a giustificare il provvedimento di sequestro. Nè la motivazione del provvedimento impugnato può ritenersi del tutto assente per non avere il Tribunale del riesame esplicitamente esaminato le doglianze di cui ad una memoria difensiva, atteso che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, espressamente ricordata dall’ordinanza impugnata, se può dirsi che il Tribunale era tenuto ad esaminare i temi dedotti, al tempo stesso deve rilevarsi che non occorre una risposta puntuale per ogni tema, ben potendosi ammettere una valutazione complessiva destinata implicitamente a superare le doglianze dedotte. Inoltre, in tale ottica, può ravvisarsi in concreto un vizio di motivazione solo in quanto i temi sollevati fossero idonei a disarticolare il ragionamento probatorio proposto, atteso che solo in. tale caso la motivazione per relationem si sarebbe dovuta reputare inidonea a fornire risposta implicita alle varie deduzioni difensive (Cass. Sez. 6, n. 1915 del 29/10/2015, Nappello) 3.2. Anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono inammissibili per la loro manifesta infondatezza, non potendosi in alcun modo ritenere assente la motivazione in ordine al mero “fumus” dei reati ipotizzati, laddove questa ha legittimamente valorizzato le valutazioni espresse da vari consulenti tecnici, individuati nei soggetti responsabili delle verifiche sui prodotti originali, ritenuti in possesso delle necessarie competenze tecniche per esaminare i beni in sequestro.

Si tratta di valutazioni certamente idonee ad essere valutate ai fini del riconoscimento del fumus dei reati ipotizzati, soprattutto ove si consideri che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, anche in tema di valutazione di prova testimoniale resa in dibattimento, il divieto di apprezzamenti personali non opera qualora il testimone sia persona particolarmente qualificata che riferisca su fatti caduti sotto la sua diretta percezione sensoriale ed inerenti alla sua abituale e specifica attività giacchè, in tal caso, l’apprezzamento diventa inscindibile dal fatto. (Sez. 2, n. 4128 del 09/10/2019, Rv. 278086, fattispecie in tema di detenzione per la vendita di prodotti con marchio contraffatto, in cui la Corte ha ritenuto correttamente acquisita e valutata dal giudice di merito la deposizione di un ispettore dell’azienda titolare del marchio, all’esito dell’accertamento di natura tecnica effettuato).

Anche il richiamo alla configurabilità dell’art. 517 c.p., operato dall’ordinanza impugnata e contestato dal ricorrente, evidenzia che il provvedimento è dotato di motivazione reale e non apparente, nè può ritenersi che lo stesso proponga un’analogia in malam partem, giacchè, invece, si limita ad evidenziare che sarà l’eventuale giudizio di merito a meglio qualificare la fattispecie di reato, alla luce dei principi ripetutamente evidenziati da questa Corte di Cassazione, secondo cui ai fini dell’integrazione dei reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p., posti a tutela del bene giuridico della fede pubblica, è necessaria la materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio o segno distintivo che siano tali da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento, a differenza del reato previsto dall’art. 517 ter c.p., che tutela esclusivamente il patrimonio del titolare della proprietà industriale, il quale ricorre sia nell’ipotesi di prodotti realizzati ad imitazione di quelli con marchio altrui, sia nell’ipotesi di fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti “originali” da parte di chi non ne è titolare (Sez. 3, n. 14812 del 30/11/2016 Rv. 269751: in applicazione di questo criterio discretivo la S.C. ha ritenuto immune da vizi la sentenza impugnata che aveva escluso il reato di cui all’art. 474 c.p. non sussistendo la contraffazione del marchio, riconoscendo però l’integrazione del reato previsto dall’art. 517 ter c.p. per l’indebito sfruttamento di un segno distintivo altrui mediante la riproduzione, in modo parassitario, dei connotati essenziali; cfr. anche Sez. 3, n. 14812 del 30/11/2016, Rv. 269751).

4. Al rigetto del ricorso la dichiarazione di inammissibilità del ricorsi consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione dei motivi dedotti, si determina equitativamente in Euro duemila.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2023